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Castellina Marittima si trova su uno degli ultimi poggi della Valdicecina, al limite della costa che guarda il mare. Distribuita su un pendio scosceso di galestro rosso segue, come per gli altri paesi adiacenti, il tipico fenomeno di edilizia arroccata in posizione prominente con visuale sulle vallate circostanti. Questo borgo tuttavia non occupa la sommità più alta, un tempo occupata da una grande cerreta, bensì un dislivello di poco più basso, conferendole allo stesso modo l’epiteto di rocca forte, ovvero di essere difficilmente attaccabile.
Questa zona è stata abitata sin dagli etruschi, alcuni ipogei ritrovati ne certificano il loro passaggio, ma poco sappiamo della sua storia precedente al medioevo. In un periodo di grande vuoto storico Castellina assume forma e caratterizzazione soltanto dalla fine del primo millennio dopo Cristo. Un periodo tumultuoso caratterizzato da domini e predomini, insurrezioni e sottomissioni, in cui Castellina seguì le sorti ora di una repubblica, ora di un’altra in una continua ricerca di indipendenza.
Nella seconda metà del Duecento Castellina figurava essere un castello della consorteria degli Aldobrandeschi, a retroguardia di Rosignano Marittimo, con vista sulla importante Via Emilia. Tali caratteristiche non passarono inosservate ai pisani, alché l’acquistarono poco anni dopo. In quel periodo in Castellina vi ebbero possedimenti i Conti della Gherardesca e i Conti di Strido, ma tra tutti signoreggiava Ugo di Giovanni della Gherardesca detto Bacarozzo, conte di Montescudaio, Vicario in Maremma, che si distinse per un gesto eclatante.
I conti di Montescudaio sebbene piuttosto concordi con la politica pisana, si rivelarono una stirpe spavalda e megalomane talmente assetata di potere da non guardare in faccia a nessuno. Bacarozzo, per esempio, fece insorgere gli animi degli abitanti del borgo contro i pisani, come altri suoi familiari fecero mobilitando i paesi adiacenti. La ribellione, tuttavia, non durò molto e Castellina ritornò sottomessa alla potenza marinara fino agli inizi del Quattrocento.
Nel Quattrocento i conti di Montescudaio non mancarono di voltare le spalle a Pisa assecondando le mire espansionistiche di Firenze, ormai prossima alla conquista di tutta la Valdicecina e dei territori posti sotto il controllo di Pisa. Sotto il dominio della Repubblica fiorentina Castellina fu condizionata dalle vittorie e le sconfitte dei superiori, tra cui una importante ingerenza da parte di Alfonso d’Aragona, potente nemica come poche, ma era regolata da statuti propri che la rendevano meno sottomessa di altri borghi.
Di questo margine di azione concesso però non potremo parlarne con l’avvento del sistema feudale che caratterizzò il Seicento e il Settecento. Castellina, come del resto i paesi vicinali, venne inserita nel marchesato di Lorenzo de’ Medici e dei suoi discendenti. Un capitolo buio, minato dalla peste e dall’insorgenza di malattie malariche dovute alla poca areazione della zona, dalla crescita non controllata dei boschi e dall’aumento di animali selvatici pericolosi.
Nel periodo feudale Castellina, in veste di proprietà vacanziera della famiglia dei Medici, si vide privare di numerose aree comunitative, un tempo sfruttate dalla collettività per la coltivazione e il pascolo. Quelle terre, divennero grandissime tenute di caccia personali dei feudatari nelle quali al cittadino era vietato coltivare, pescare e cacciare. Divieti estremi che rendevano difficile persino una semplice vita votata alla sola sopravvivenza. I residenti senza lavoro furono costretti a trasferirsi altrove con conseguente calo demografico.
Solo con il sistema granducale si percepì una inversione di rotta. La riforma agraria leopoldina di fine Settecento e l’enfiteusi dei beni comunitativi spinse Castellina a rilavorare la terra. I vassalli ebbero la possibilità di diventare piccoli possidenti e coltivatori in proprio e le nuove colture portarono speranze laddove per secoli regnò inerzia e miseria. Alla lavorazione dei campi, allo sfruttamento degli allevamenti e alla pesca nei fiumi e nei torrenti che tagliano il Comune si affiancarono nuove concessioni come quelle minerarie e con esse nuove professioni. Le miniere più importanti furono le cosiddette cave dell’alabastro.
L’alabastro si scavava fra i torrenti del Pescera e del Marmolaio, poco distante dal centro. Una professione plurisecolare, parte di un vero patrimonio ambientale e culturale che ha reso produttivo l’intero territorio della Val di Cecina dagli inizi del Ottocento fino alla seconda metà del Novecento. Da Castellina l’alabastro grezzo raggiungeva Volterra, dove veniva lavorato per farne delle opere d’artigianato di grande qualità, per poi rivenderle in tutto il mondo. Tutto il processo, dall’estrazione alla vendita ha reso ricche numerose famiglie.
La libera estrazione dell’alabastro fu uno dei motivi per cui Castellina prosperò. Il paese si ampliò; la popolazione triplicò nel giro di quarant’anni, cambiando in certi casi anche l’assetto urbano di interi quartieri e località limitrofe. Tuttavia, come per tutte le malattie febbricitanti, anche quella per l’alabastro guarì, portandosi con sé una nuova progressiva decadenza. Diminuita la domanda di mercato, risultò troppo oneroso mantenere aperte le cave, preferendo ad esse una importazione più economica della lontana Spagna.
Oggi l’economia del territorio si basa sulla coltura dei cereali, dei foraggi, degli olivi e alla produzione dei vini, con un occhio attento al turismo di lusso, indubbiamente stimolato dal sorgere di attività di tipo agrituristico. Il Comune di Castellina è un luogo ancora incontaminato dal grande progresso urbanizzato, perfetto per chi ama circondarsi di campagne, colline e viste panoramiche a dispetto delle grandi città caotiche. Se avrete l’occasione di sedervi su una delle panchine vista mare potrete capire perché, a un tiro di schioppo, c’è una delle più importanti comunità buddiste europee; un bellissimo monastero tibetano.
La sua attrattività sta nel contesto umano e ambientale nel quale è inserita; il paesaggio circostante è indubbiamente il suo punto di forza, ma poco rilevante per chi è alla ricerca di borghi antichi medievali, perché delle sue origini a Castellina è rimasto poco o niente, in parte distrutto dal terremoto di metà Ottocento e in parte rimodernizzato per far fronte alle nuove esigenze abitative. Si configura per lo più come un paese normale e moderno dove la storia viene cementata dalla fine del periodo granducale.
Castellina Marittima si trova su uno degli ultimi poggi della Valdicecina, al limite della costa che guarda il mare. Distribuita su un pendio scosceso di galestro rosso segue, come per gli altri paesi adiacenti, il tipico fenomeno di edilizia arroccata in posizione prominente con visuale sulle vallate circostanti. Questo borgo tuttavia non occupa la sommità più alta, un tempo occupata da una grande cerreta, bensì un dislivello di poco più basso, conferendole allo stesso modo l’epiteto di rocca forte, ovvero di essere difficilmente attaccabile.
Questa zona è stata abitata sin dagli etruschi, alcuni ipogei ritrovati ne certificano il loro passaggio, ma poco sappiamo della sua storia precedente al medioevo. In un periodo di grande vuoto storico Castellina assume forma e caratterizzazione soltanto dalla fine del primo millennio dopo Cristo. Un periodo tumultuoso caratterizzato da domini e predomini, insurrezioni e sottomissioni, in cui Castellina seguì le sorti ora di una repubblica, ora di un’altra in una continua ricerca di indipendenza.
Nella seconda metà del Duecento Castellina figurava essere un castello della consorteria degli Aldobrandeschi, a retroguardia di Rosignano Marittimo, con vista sulla importante Via Emilia. Tali caratteristiche non passarono inosservate ai pisani, alché l’acquistarono poco anni dopo. In quel periodo in Castellina vi ebbero possedimenti i Conti della Gherardesca e i Conti di Strido, ma tra tutti signoreggiava Ugo di Giovanni della Gherardesca detto Bacarozzo, conte di Montescudaio, Vicario in Maremma, che si distinse per un gesto eclatante.
I conti di Montescudaio sebbene piuttosto concordi con la politica pisana, si rivelarono una stirpe spavalda e megalomane talmente assetata di potere da non guardare in faccia a nessuno. Bacarozzo, per esempio, fece insorgere gli animi degli abitanti del borgo contro i pisani, come altri suoi familiari fecero mobilitando i paesi adiacenti. La ribellione, tuttavia, non durò molto e Castellina ritornò sottomessa alla potenza marinara fino agli inizi del Quattrocento.
Nel Quattrocento i conti di Montescudaio non mancarono di voltare le spalle a Pisa assecondando le mire espansionistiche di Firenze, ormai prossima alla conquista di tutta la Valdicecina e dei territori posti sotto il controllo di Pisa. Sotto il dominio della Repubblica fiorentina Castellina fu condizionata dalle vittorie e le sconfitte dei superiori, tra cui una importante ingerenza da parte di Alfonso d’Aragona, potente nemica come poche, ma era regolata da statuti propri che la rendevano meno sottomessa di altri borghi.
Di questo margine di azione concesso però non potremo parlarne con l’avvento del sistema feudale che caratterizzò il Seicento e il Settecento. Castellina, come del resto i paesi vicinali, venne inserita nel marchesato di Lorenzo de’ Medici e dei suoi discendenti. Un capitolo buio, minato dalla peste e dall’insorgenza di malattie malariche dovute alla poca areazione della zona, dalla crescita non controllata dei boschi e dall’aumento di animali selvatici pericolosi.
Nel periodo feudale Castellina, in veste di proprietà vacanziera della famiglia dei Medici, si vide privare di numerose aree comunitative, un tempo sfruttate dalla collettività per la coltivazione e il pascolo. Quelle terre, divennero grandissime tenute di caccia personali dei feudatari nelle quali al cittadino era vietato coltivare, pescare e cacciare. Divieti estremi che rendevano difficile persino una semplice vita votata alla sola sopravvivenza. I residenti senza lavoro furono costretti a trasferirsi altrove con conseguente calo demografico.
Solo con il sistema granducale si percepì una inversione di rotta. La riforma agraria leopoldina di fine Settecento e l’enfiteusi dei beni comunitativi spinse Castellina a rilavorare la terra. I vassalli ebbero la possibilità di diventare piccoli possidenti e coltivatori in proprio e le nuove colture portarono speranze laddove per secoli regnò inerzia e miseria. Alla lavorazione dei campi, allo sfruttamento degli allevamenti e alla pesca nei fiumi e nei torrenti che tagliano il Comune si affiancarono nuove concessioni come quelle minerarie e con esse nuove professioni. Le miniere più importanti furono le cosiddette cave dell’alabastro.
L’alabastro si scavava fra i torrenti del Pescera e del Marmolaio, poco distante dal centro. Una professione plurisecolare, parte di un vero patrimonio ambientale e culturale che ha reso produttivo l’intero territorio della Val di Cecina dagli inizi del Ottocento fino alla seconda metà del Novecento. Da Castellina l’alabastro grezzo raggiungeva Volterra, dove veniva lavorato per farne delle opere d’artigianato di grande qualità, per poi rivenderle in tutto il mondo. Tutto il processo, dall’estrazione alla vendita ha reso ricche numerose famiglie.
La libera estrazione dell’alabastro fu uno dei motivi per cui Castellina prosperò. Il paese si ampliò; la popolazione triplicò nel giro di quarant’anni, cambiando in certi casi anche l’assetto urbano di interi quartieri e località limitrofe. Tuttavia, come per tutte le malattie febbricitanti, anche quella per l’alabastro guarì, portandosi con sé una nuova progressiva decadenza. Diminuita la domanda di mercato, risultò troppo oneroso mantenere aperte le cave, preferendo ad esse una importazione più economica della lontana Spagna.
Oggi l’economia del territorio si basa sulla coltura dei cereali, dei foraggi, degli olivi e alla produzione dei vini, con un occhio attento al turismo di lusso, indubbiamente stimolato dal sorgere di attività di tipo agrituristico. Il Comune di Castellina è un luogo ancora incontaminato dal grande progresso urbanizzato, perfetto per chi ama circondarsi di campagne, colline e viste panoramiche a dispetto delle grandi città caotiche. Se avrete l’occasione di sedervi su una delle panchine vista mare potrete capire perché, a un tiro di schioppo, c’è una delle più importanti comunità buddiste europee; un bellissimo monastero tibetano.
La sua attrattività sta nel contesto umano e ambientale nel quale è inserita; il paesaggio circostante è indubbiamente il suo punto di forza, ma poco rilevante per chi è alla ricerca di borghi antichi medievali, perché delle sue origini a Castellina è rimasto poco o niente, in parte distrutto dal terremoto di metà Ottocento e in parte rimodernizzato per far fronte alle nuove esigenze abitative. Si configura per lo più come un paese normale e moderno dove la storia viene cementata dalla fine del periodo granducale.