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I dolci rilievi collinari e i fitti boschi di castagni fanno dei dintorni di Castelnuovo un ambiente ideale per delle bellissime passeggiate. All’interno del borgo le bellezze si accentuano ancora di più: ad ogni passo si aprono nuovi orizzonti, dal vecchio castello che lo sovrasta con sfumature sempre diverse, ai casolari sparsi nella vasta campagna, agli antichi borghi che si affacciano erti sui colli immersi nel verde, in lontananza. Il paese così situato a quasi seicento metri d’altitudine, assieme al vicino poggio Aia dei Diavoli, che lo sovrasta di oltre duecento, acquisiscono il primato delle alture più alte della Valdicecina.
Il borgo medievale di Castelnuovo ci appare come un paesino da favola, arrampicato a forma di pigna su un ripido e scosceso colle, con le sue stradine, i vicoli, le scalette e le belle e dignitose case che vi si affacciano. L’antico impianto urbanistico ancora intatto, dominato dalla chiesa del Santissimo Salvatore, costruita dove si ergeva l’antico castello.
Era, forse, questa la terra di Castellina Marittima che poco prima del Duecento fu data in feudo da Federico I Barbarossa al conte Alberto III di Prato, una casata che all’inizio del Duecento ne deteneva ancora la signoria e che si sviluppò, poi, in concomitanza con la decadenza del castello di Bruciano, importante rocca di controllo delle valli del Pavone e del Possera. L’epoca di fondazione di Castel Nuovo di Montagna, come un tempo si chiamava, è comunque incerta, ma può essere collocata ragionevolmente all’alba del secondo millennio, anche se, con ogni probabilità, sorgeva sulle ceneri di un insediamento aperto.
Il nome Castelnuovo lascia pensare e in maniera elementare ad un castello nuovo costruito al posto di uno precedente; un processo di incastellamento, la cui dinamica è riscontrabile anche in altri siti dell’alta Val di Cecina, che consisteva per l’appunto nel cingere di mura vecchi insediamenti. Così facendo, potenziando e costruendo sul proprio passato ha portato Castelnuovo ad essere il secondo più importante, dopo Pomarance, tra i ventisette castelli del contado della nobile Volterra.
Prima del Duecento fu uno dei castelli sotto l’influenza dell’Abbazia di Monteverdi, poi dei Vescovi di Volterra. Il vescovato volterrano cominciò ad acquisire, grazie ai privilegi imperiali, una serie di diritti che, insieme al dominio sulla città di Volterra, gli permise di accumulare un esteso patrimonio ecclesiastico e di esercitare il controllo su gran parte della Valdicecina. Tale patrimonio era però costituito da proprietà eccessivamente frazionate e sparse su un vastissimo territorio, difficili da difendere e controllare anche con l’uso delle armi.
Sono questi i presupposti che permetteranno a taluni vassalli, di appropriarsi dei benefici, acquisendo il controllo di molti castelli, fra cui Castelnuovo. Tra questi, agli inizi del Duecento, governarono i Lambardi: esponenti di una nobiltà minore che, grazie ai benefici acquisiti, godeva di numerosi diritti sul castello. Quegli stessi Lambardi che, in contrasto con il Conte Rinaldo di Monterotondo anch’esso possedente di alcuni terreni, chiesero aiuto al Comune di Volterra, giurandole fedeltà in cambio. Ne nacque così una guerra, conclusasi con il lascito di Rinaldo di tutte le terre e di tutti i beni del castello.
Ritornò dunque nella comunità volterrana per sette anni circa, fino alla soppressione delle Mairies, sostituite dalle Magistrature comunitative. Poco dopo il commerciante francese Francesco De Larderel iniziò la produzione dell’acido borico estratto dai Lagoni, impiantando alla vicina Montecerboli il primo nucleo industriale ed estendendo in seguito la produzione anche a Castelnuovo e Sasso Pisano. Da allora, gran parte della popolazione di Castelnuovo, come del resto quella dei paesi limitrofi troverà occupazione in questa attività.
In seguito all’utilizzo del vapore endogeno per la produzione di energia elettrica da parte della ditta Larderello, l’attività chimica passò in secondo piano, per far posto all’industria elettrica. Nonostante la produzione di energia elettrica abbia svolto e continui a svolgere un ruolo di primaria importanza nell’economia di Castelnuovo e dell’intera Valdicecina, il calo dei livelli occupazionali, registrato dopo l’avvento dell’ENEL, insieme alla mancanza di sviluppo in altri settori, ha determinato il decadimento economico e sociale di questa parte della Toscana.
Oggi il borgo di Castelnuovo, separato dal paese nuovo, si mostra affascinante in tutto il suo aspetto urbano, dal castello sulla sommità dell’altura fino alla valle del Pavone. Le sue origini medievali sono evidenziate da precisi elementi architettonici, come gli edifici di altezza considerevole, forse un tempo case torri, e la cinta muraria con le sue porte di accesso. Vicino alle abitazioni si notano anche alcune strutture che, nonostante gli interventi di ristrutturazione, mostrano ancora la loro origine di antichi seccatoi per le castagne.
La parte più antica del borgo è quella dove ora sorgono la chiesa del SS. Salvatore, la Rocca e la Voltola, sede del Circolo culturale Il Chiassino che ha preso il nome da un vicolo strettissimo, annoverato tra i più stretti esistenti al mondo. I resti della rocca, ormai inglobati nell’edificio che attualmente ospita un asilo, sono l’ultima testimonianza del potere indipendente di una comunità che è stata a lungo combattiva. L’asilo ne prende l’eredità; fondato nella prima metà del Novecento con l’aiuto finanziario del Principe Ginori Conti e degli abitanti del paese.
Osservando la foto aerea di Castelnuovo, è ancora possibile ricostruire l’andamento di due cinte murarie. La prima cingeva l’originario nucleo del castello che, costruito a tre ripiani uno sopra l’altro, gira tortuoso sino al Cassero. Delle mura oggi ne rimane solo una porzione d’arco, relativa a una delle due porte di accesso: la Porta Castellana. L’altra porta detta anche Porta Volterrana, ormai vittima del nuovo sviluppo edilizio, è rintracciabile nell’orto attiguo alla casa canonicale.
Una seconda cinta muraria circondava invece le abitazioni del borgo per proteggerle da eventuali attacchi nemici. Originaria del Trecento, voluta da Ottaviano Belforti a spese della comunità di Volterra, sono ancora visibili due porte e brevi tratti di mura. La Porta Fiorentina, così denominata perché immetteva sulla strada per Firenze, si conserva integra. Sulla parte superiore della porta, nel lato interno, è scolpita una croce templare. La Porta Romana, parzialmente danneggiata, si apriva sulla via opposta, che conduceva verso Roma. Uscendone, si accede ai castagneti, scendendo successivamente al piano, dove scorre il torrente Pavone.
I dolci rilievi collinari e i fitti boschi di castagni fanno dei dintorni di Castelnuovo un ambiente ideale per delle bellissime passeggiate. All’interno del borgo le bellezze si accentuano ancora di più: ad ogni passo si aprono nuovi orizzonti, dal vecchio castello che lo sovrasta con sfumature sempre diverse, ai casolari sparsi nella vasta campagna, agli antichi borghi che si affacciano erti sui colli immersi nel verde, in lontananza. Il paese così situato a quasi seicento metri d’altitudine, assieme al vicino poggio Aia dei Diavoli, che lo sovrasta di oltre duecento, acquisiscono il primato delle alture più alte della Valdicecina.
Il borgo medievale di Castelnuovo ci appare come un paesino da favola, arrampicato a forma di pigna su un ripido e scosceso colle, con le sue stradine, i vicoli, le scalette e le belle e dignitose case che vi si affacciano. L’antico impianto urbanistico ancora intatto, dominato dalla chiesa del Santissimo Salvatore, costruita dove si ergeva l’antico castello.
Era, forse, questa la terra di Castellina Marittima che poco prima del Duecento fu data in feudo da Federico I Barbarossa al conte Alberto III di Prato, una casata che all’inizio del Duecento ne deteneva ancora la signoria e che si sviluppò, poi, in concomitanza con la decadenza del castello di Bruciano, importante rocca di controllo delle valli del Pavone e del Possera. L’epoca di fondazione di Castel Nuovo di Montagna, come un tempo si chiamava, è comunque incerta, ma può essere collocata ragionevolmente all’alba del secondo millennio, anche se, con ogni probabilità, sorgeva sulle ceneri di un insediamento aperto.
Il nome Castelnuovo lascia pensare e in maniera elementare ad un castello nuovo costruito al posto di uno precedente; un processo di incastellamento, la cui dinamica è riscontrabile anche in altri siti dell’alta Val di Cecina, che consisteva per l’appunto nel cingere di mura vecchi insediamenti. Così facendo, potenziando e costruendo sul proprio passato ha portato Castelnuovo ad essere il secondo più importante, dopo Pomarance, tra i ventisette castelli del contado della nobile Volterra.
Prima del Duecento fu uno dei castelli sotto l’influenza dell’Abbazia di Monteverdi, poi dei Vescovi di Volterra. Il vescovato volterrano cominciò ad acquisire, grazie ai privilegi imperiali, una serie di diritti che, insieme al dominio sulla città di Volterra, gli permise di accumulare un esteso patrimonio ecclesiastico e di esercitare il controllo su gran parte della Valdicecina. Tale patrimonio era però costituito da proprietà eccessivamente frazionate e sparse su un vastissimo territorio, difficili da difendere e controllare anche con l’uso delle armi.
Sono questi i presupposti che permetteranno a taluni vassalli, di appropriarsi dei benefici, acquisendo il controllo di molti castelli, fra cui Castelnuovo. Tra questi, agli inizi del Duecento, governarono i Lambardi: esponenti di una nobiltà minore che, grazie ai benefici acquisiti, godeva di numerosi diritti sul castello. Quegli stessi Lambardi che, in contrasto con il Conte Rinaldo di Monterotondo anch’esso possedente di alcuni terreni, chiesero aiuto al Comune di Volterra, giurandole fedeltà in cambio. Ne nacque così una guerra, conclusasi con il lascito di Rinaldo di tutte le terre e di tutti i beni del castello.
Il castello venne danneggiato due volte nel corso della storia; nella seconda metà del Quattrocento, quando fu espugnato da Alfonso d’Aragona, come gran parte dell’alta Valdicecina. E durante l’occupazione del senese Petrucci, talmente ostica che per liberarsene gli abitanti di Castelnuovo chiesero aiuto alle truppe fiorentine guidate da Luca di Maso degli Albizi e dal Conte di Urbino. In questi due episodi il castello figurava ancora sotto Volterra, ma lo fu ancora per poco, almeno fino alla disfatta di Volterra contro Firenze alla fine del Quattrocento.
Dopo il famoso sacco volterrano impartito da Firenze, Castelnuovo passò sotto il dominio fiorentino e qui vi rimase almeno fino alla prima metà del Seicento, quando Ferdinando II dei Medici costituì il Marchesato di Castelnuovo e lo concesse in feudo a Luca degli Albizi. Il feudo restò nelle mani di questa famiglia fino alla fine del Settecento, quando, per mancanza di discendenti maschi, ne venne concesso il rilascio. Agli inizi dell’Ottocento la Toscana venne poi annessa all’Impero Francese e Castelnuovo divenne una sede Mairie del Dipartimento del Mediterraneo e del Circondario di Volterra.
Ritornò dunque nella comunità volterrana per sette anni circa, fino alla soppressione delle Mairies, sostituite dalle Magistrature comunitative. Poco dopo il commerciante francese Francesco De Larderel iniziò la produzione dell’acido borico estratto dai Lagoni, impiantando alla vicina Montecerboli il primo nucleo industriale ed estendendo in seguito la produzione anche a Castelnuovo e Sasso Pisano. Da allora, gran parte della popolazione di Castelnuovo, come del resto quella dei paesi limitrofi troverà occupazione in questa attività.
In seguito all’utilizzo del vapore endogeno per la produzione di energia elettrica da parte della ditta Larderello, l’attività chimica passò in secondo piano, per far posto all’industria elettrica. Nonostante la produzione di energia elettrica abbia svolto e continui a svolgere un ruolo di primaria importanza nell’economia di Castelnuovo e dell’intera Valdicecina, il calo dei livelli occupazionali, registrato dopo l’avvento dell’ENEL, insieme alla mancanza di sviluppo in altri settori, ha determinato il decadimento economico e sociale di questa parte della Toscana.
Oggi il borgo di Castelnuovo, separato dal paese nuovo, si mostra affascinante in tutto il suo aspetto urbano, dal castello sulla sommità dell’altura fino alla valle del Pavone. Le sue origini medievali sono evidenziate da precisi elementi architettonici, come gli edifici di altezza considerevole, forse un tempo case torri, e la cinta muraria con le sue porte di accesso. Vicino alle abitazioni si notano anche alcune strutture che, nonostante gli interventi di ristrutturazione, mostrano ancora la loro origine di antichi seccatoi per le castagne.
La parte più antica del borgo è quella dove ora sorgono la chiesa del SS. Salvatore, la Rocca e la Voltola, sede del Circolo culturale Il Chiassino che ha preso il nome da un vicolo strettissimo, annoverato tra i più stretti esistenti al mondo. I resti della rocca, ormai inglobati nell’edificio che attualmente ospita un asilo, sono l’ultima testimonianza del potere indipendente di una comunità che è stata a lungo combattiva. L’asilo ne prende l’eredità; fondato nella prima metà del Novecento con l’aiuto finanziario del Principe Ginori Conti e degli abitanti del paese.
Osservando la foto aerea di Castelnuovo, è ancora possibile ricostruire l’andamento di due cinte murarie. La prima cingeva l’originario nucleo del castello che, costruito a tre ripiani uno sopra l’altro, gira tortuoso sino al Cassero. Delle mura oggi ne rimane solo una porzione d’arco, relativa a una delle due porte di accesso: la Porta Castellana. L’altra porta detta anche Porta Volterrana, ormai vittima del nuovo sviluppo edilizio, è rintracciabile nell’orto attiguo alla casa canonicale.
Una seconda cinta muraria circondava invece le abitazioni del borgo per proteggerle da eventuali attacchi nemici. Originaria del Trecento, voluta da Ottaviano Belforti a spese della comunità di Volterra, sono ancora visibili due porte e brevi tratti di mura. La Porta Fiorentina, così denominata perché immetteva sulla strada per Firenze, si conserva integra. Sulla parte superiore della porta, nel lato interno, è scolpita una croce templare. La Porta Romana, parzialmente danneggiata, si apriva sulla via opposta, che conduceva verso Roma. Uscendone, si accede ai castagneti, scendendo successivamente al piano, dove scorre il torrente Pavone.