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Disteso sulle pendici delle ultime colline dell’alta Valdicecina, Guardistallo assume la forma di una mezzaluna crescente appoggiata sul dorso curvilineo della strada provinciale di passaggio. Sebbene la struttura urbanistica del paese, nel suo complesso, si caratterizza da interessanti architetture di fine Ottocento, la sua storia va ben oltre l’epoca moderna e pone le radici nel neolitico. Numerosi reperti come asce, pugnali di pietra e di bronzo confermano questa tesi.
Ci sono tracce anche di etruschi, i quali dovevano aver scelto questa altura proprio per i suoi vantaggi geografici: al centro del territorio tra le rinomate città di Volterra e Populonia. Non abbiamo notizie sui romani, ma certa è la presenza dei longobardi. Quegli stessi longobardi che dettero il nome a Guardistallo: la chiamavano Wardanstall. Nella loro lingua germanica significa luogo di guardia ed era un nome del tutto azzeccato, perchè dall’alto di questa collina si possono controllare le vallate circostanti fino al mare.
I longobardi vi costruirono un grande castello che, con il passare dei secoli, si dotò anche di un borgo sottostante. Quando nell’anno Mille il castello passò ai discendenti Conti della Gherardesca, essi lo fecero in dono al Vescovo di Volterra, figura carismatica dotata di un grande potere temporale su buona parte della Valdicecina. Inglobata nella sua grande Diocesi, il vescovato volterrano ne fece tesoro per molti secoli a venire fino a quando venne sottratto dalla Repubblica di Pisa. Il dominio di Pisa non fu del tutto facile, poiché i guardistallini non si esimevano dall’alimentare ribellioni.
Le vicende storiche di Guardistallo sono comuni a quelle del castello di Bibbona e degli altri paesi limitrofi; all’alba del Quattrocento, fu conquistata dai Fiorentini. Anche in questo caso i residenti furono restii dall’accettare questa subordinazione, ma furono in verità tra i primi castelli della Maremma pisana a giurare fedeltà a Firenze. Costretti all’assoluta obbedienza dovettero seguire le sorti della Repubblica Fiorentina fino alla fine dei suoi giorni. E poiché abbracciava tutte le vicende di Firenze, il paese si trovò a dover affrontare anche la furia distruttiva di Alfonso d’Aragona.
Durante l’epoca fiorentina Guardistallo divenne libero Comune, un titolo che detenne fino alla metà del Settecento, garantendo agli abitanti del borgo uno stile di vita e di lavoro tutto sommato accettabile. Allo stesso modo non potremmo parlarne della Guardistallo infeudata sotto il comando del Conte Carlo Ginori. Per Ginori non fu altro che una estensione della grande tenuta privata di Cecina e per questo abolì le aree vaste comunitarie. Da sempre votata alle attività agricole, all’improvviso, gli abitanti si videro proibire la coltivazione, la caccia e la pesca: la maggior parte delle terre erano diventate le riserve di caccia personali del feudatario.
Con la mancata coltivazione delle terre, la natura riprese i suoi spazi. Le fitte boscaglie si fecero enormi e con esse i problemi di ventilazione. L’aria così divenne insalubre conseguendo in problematiche malattie malariche. Molti abitanti si ammalarono, altri morirono e persino l’acqua divenne nemica, perché poco buona. Il borgo divenne debole e il tempo si fermò; per duecento anni, rimase in una fase di stallo, in una sopravvivenza continua, senza alcuno stimolo evolutivo, ma è altresì vero che, contrariamente ai borghi della bassa Valdicecina di pari condizioni, rispose meglio alle criticità.
La situazione cambiò in meglio alla fine del Settecento con l’abolizione dei feudi: con la riforma agraria del Granduca Leopoldo si cercò di distribuire le terre con equità tra nuovi acquirenti per favorire una coltivazione più razionale. Il nuovo sviluppo dell’agricoltura comportò un notevole aumento della popolazione. Guardistallo si espanse in lungo e in largo e chissà quanto altro avrebbe potuto fare se non fosse stato minato da uno spaventoso terremoto. Accadde una mattina di metà Ottocento, devastando l’intera Valdicecina.
Guardistallo fu uno dei paesi più colpiti della zona, ma, seppur rasa al suolo, non si disperò. Nella rinascita del paese non tutti sanno che fu ricostruito da zero guardando verso il mare; un’operazione di recupero che richiedette un grande sostegno economico anche da parte di ricche famiglie locali. Tra i benefattori i Marchionneschi, i quali oltre a scommettere su una ripresa economica del paese pensarono ad erigere molti luoghi deputati allo svago e alla manifestazione sociale tipica dell’alta borghesia.
Con il paese nuovo, Guardistallo visse uno dei periodi più belli. A testimonianza dell’eleganza della vita dei suoi signori e del paese stesso venne chiamata “la piccola Parigi”. Una dolce visione delle viuzze strette piene di gatti, di panni stesi alle finestre, di case basse, rustiche, accatastate una vicina all’altra. Un angolo di paradiso dotato di un forte spirito bohémien, dove ci si innamorava soltanto con lo sguardo volto sul Tirreno e sulle isole dell’Arcipelago Toscano.
Con un territorio coperto in gran parte da boschi e da pascoli l’economia locale, ora come allora, è legata all’agricoltura. Questi caratteri rurali si sono mantenuti fino ad oggi; le produzioni principali sono legate alla viticoltura e all’olivicoltura, come per molti Comuni vicini. Negli ultimi anni c’è stata anche una forte spinta turistica, sfruttando le bellezze storiche, culturali e naturali che circondano il paese e il fenomeno degli agriturismi immersi nel verde delle campagne.
Disteso sulle pendici delle ultime colline dell’alta Valdicecina, Guardistallo assume la forma di una mezzaluna crescente appoggiata sul dorso curvilineo della strada provinciale di passaggio. Sebbene la struttura urbanistica del paese, nel suo complesso, si caratterizza da interessanti architetture di fine Ottocento, la sua storia va ben oltre l’epoca moderna e pone le radici nel neolitico. Numerosi reperti come asce, pugnali di pietra e di bronzo confermano questa tesi.
Ci sono tracce anche di etruschi, i quali dovevano aver scelto questa altura proprio per i suoi vantaggi geografici: al centro del territorio tra le rinomate città di Volterra e Populonia. Non abbiamo notizie sui romani, ma certa è la presenza dei longobardi. Quegli stessi longobardi che dettero il nome a Guardistallo: la chiamavano Wardanstall. Nella loro lingua germanica significa luogo di guardia ed era un nome del tutto azzeccato, perchè dall’alto di questa collina si possono controllare le vallate circostanti fino al mare.
I longobardi vi costruirono un grande castello che, con il passare dei secoli, si dotò anche di un borgo sottostante. Quando nell’anno Mille il castello passò ai discendenti Conti della Gherardesca, essi lo fecero in dono al Vescovo di Volterra, figura carismatica dotata di un grande potere temporale su buona parte della Valdicecina. Inglobata nella sua grande Diocesi, il vescovato volterrano ne fece tesoro per molti secoli a venire fino a quando venne sottratto dalla Repubblica di Pisa. Il dominio di Pisa non fu del tutto facile, poiché i guardistallini non si esimevano dall’alimentare ribellioni.
Le vicende storiche di Guardistallo sono comuni a quelle del castello di Bibbona e degli altri paesi limitrofi; all’alba del Quattrocento, fu conquistata dai Fiorentini. Anche in questo caso i residenti furono restii dall’accettare questa subordinazione, ma furono in verità tra i primi castelli della Maremma pisana a giurare fedeltà a Firenze. Costretti all’assoluta obbedienza dovettero seguire le sorti della Repubblica Fiorentina fino alla fine dei suoi giorni. E poiché abbracciava tutte le vicende di Firenze, il paese si trovò a dover affrontare anche la furia distruttiva di Alfonso d’Aragona.
Durante l’epoca fiorentina Guardistallo divenne libero Comune, un titolo che detenne fino alla metà del Settecento, garantendo agli abitanti del borgo uno stile di vita e di lavoro tutto sommato accettabile. Allo stesso modo non potremmo parlarne della Guardistallo infeudata sotto il comando del Conte Carlo Ginori. Per Ginori non fu altro che una estensione della grande tenuta privata di Cecina e per questo abolì le aree vaste comunitarie. Da sempre votata alle attività agricole, all’improvviso, gli abitanti si videro proibire la coltivazione, la caccia e la pesca: la maggior parte delle terre erano diventate le riserve di caccia personali del feudatario.
Con la mancata coltivazione delle terre, la natura riprese i suoi spazi. Le fitte boscaglie si fecero enormi e con esse i problemi di ventilazione. L’aria così divenne insalubre conseguendo in problematiche malattie malariche. Molti abitanti si ammalarono, altri morirono e persino l’acqua divenne nemica, perché poco buona. Il borgo divenne debole e il tempo si fermò; per duecento anni, rimase in una fase di stallo, in una sopravvivenza continua, senza alcuno stimolo evolutivo, ma è altresì vero che, contrariamente ai borghi della bassa Valdicecina di pari condizioni, rispose meglio alle criticità.
La situazione cambiò in meglio alla fine del Settecento con l’abolizione dei feudi: con la riforma agraria del Granduca Leopoldo si cercò di distribuire le terre con equità tra nuovi acquirenti per favorire una coltivazione più razionale. Il nuovo sviluppo dell’agricoltura comportò un notevole aumento della popolazione. Guardistallo si espanse in lungo e in largo e chissà quanto altro avrebbe potuto fare se non fosse stato minato da uno spaventoso terremoto. Accadde una mattina di metà Ottocento, devastando l’intera Valdicecina.
Guardistallo fu uno dei paesi più colpiti della zona, ma, seppur rasa al suolo, non si disperò. Nella rinascita del paese non tutti sanno che fu ricostruito da zero guardando verso il mare; un’operazione di recupero che richiedette un grande sostegno economico anche da parte di ricche famiglie locali. Tra i benefattori i Marchionneschi, i quali oltre a scommettere su una ripresa economica del paese pensarono ad erigere molti luoghi deputati allo svago e alla manifestazione sociale tipica dell’alta borghesia.
Con il paese nuovo, Guardistallo visse uno dei periodi più belli. A testimonianza dell’eleganza della vita dei suoi signori e del paese stesso venne chiamata “la piccola Parigi”. Una dolce visione delle viuzze strette piene di gatti, di panni stesi alle finestre, di case basse, rustiche, accatastate una vicina all’altra. Un angolo di paradiso dotato di un forte spirito bohémien, dove ci si innamorava soltanto con lo sguardo volto sul Tirreno e sulle isole dell’Arcipelago Toscano.
Con un territorio coperto in gran parte da boschi e da pascoli l’economia locale, ora come allora, è legata all’agricoltura. Questi caratteri rurali si sono mantenuti fino ad oggi; le produzioni principali sono legate alla viticoltura e all’olivicoltura, come per molti Comuni vicini. Negli ultimi anni c’è stata anche una forte spinta turistica, sfruttando le bellezze storiche, culturali e naturali che circondano il paese e il fenomeno degli agriturismi immersi nel verde delle campagne.