Castel Volterrano, noto anche come Rocchettina del Volterrano o di Castelpopuli, si trova sul Poggio al Maltempo, a sentinella dell'ultimo baluardo del vasto territorio volterrano. Oggi in totale rovina, vi si accede, mediante una strada, la quale, partendo dal cimitero di Castelnuovo Val di Cecina, si perde sui monti sovrastanti che gradatamente scendono sulla Val di Cornia. La strada inizialmente è in buono stato, ma appena ci si inoltra per quelle impervie alture, si incomincia a percorrere uno stradone di campagna pressoché acciottolato, dal percorso obbligato e tortuoso.
E' questa l'unica strada esistente, costruita dalla Società Larderello per arrivare ad un impianto boracifero sperimentale di perforazione eretto qui nelle sue vicinanze. La fonte di vapore che scaturì da quel saggio, poi risultata di limitata portata, fu giudicata antieconomica e fu abbandonata. I particolari e costosi impianti, che necessitavano all'occasione, non erano confortati da un'adeguata resa, senza considerare la difficile utilizzazione a causa del raffreddamento che il vapore stesso avrebbe subìto nel lungo tragitto fino alla più prossima centrale.
L'ascesa, seppur ripida, è breve e per prima cosa s'incontrano le rovine della prima cinta muraria. Il castello si presenta agli occhi del visitatore come un enorme bastione, quasi di forma quadrata, con ad ogni suo canto una guardiola sovrastate da una imponente torre che si eleva verso il cielo. Questo bastione, nella parte più bassa, è costruito in bozzato, poi sostituito da mattoni. La porta di accesso alla Rocca, rispetto a chi sale verso la cima della collina, è sul retro ed è situata ai pedi della torre.
Davanti all'ingresso c'è una profonda cisterna per la conservazione dell'acqua piovana, ricavata nel masso che s'incunea anche sotto la costruzione. L'apertura del mastodontico deposito trova nello stretto tratto che separa la porta di accesso dallo strapiombo sottostante ed è quantomeno vertiginoso trovarsi a metà fra il burrone e la cisterna, ritti su poco più di un metro e mezzo di roccia, a fissare quel baratro e cercando di guadagnare al più presto la Rocca. Ovviamente, meglio precisare, tutto è in sicurezza; non si incorre ad alcuna tipologia di pericolo.
Il terreno di questa zona o è scaglioso ed argilloso, in prevalenza composto da banchi di calcare e da cisti di argilla dove si trovano poche case coloniche. Ma la particolarità dell'escursione non è determinata da queste caratteristiche di un ambiente selvaggio ed isolato, bensì dal clima stregato, che regala Poggio al Maltempo. I resti del castello si conservano su un altopiano e si raggiungono attraversando un campo che li circonda con un fitto palèo che, in alcuni punti arriva oltre mezza vita, nascondendo così alla vista il terreno e le sue possibili insidie, per lasciare il posto salo ai vari ciuffi di vegetazione, che celano i ruderi dell'antica costruzione.
Prima di arrivare ai ruderi, s'incontra il podere Poggibiada e poco più in là, un'altra casa colonica; per costruire questi due fabbricati sono state utilizzate senz'altro bozze e pietre del diruto maniero. Per primi, sulla destra dello stradone, s'incontrano i pochi resti della chiesetta di Sant'Andrea in Castelpopuli, che risultava ancora in piedi nella seconda metà del Settecento.
Castel Volterrano si trova a breve distanza dai resti di questo oratorio, che non è compreso entro la cinta muraria. L'intera costruzione del castello, com'è possibile constatare ancora dai suoi resti, aveva forma quadrangolare ed era racchiusa da una doppia cinta muraria. I suoi ruderi non oltrepassano i due, tre metri di altezza; al centro si nota la base della sua più grossa torre e, ai piedi di questa, si vedono alcuni gradini che scendono nei sotterranei.
Sempre all'interno della cinta rnuraria, sono visibili i resti di altre costruzioni e delle cisterne dell'acqua piovana. Sul lato nord est c'è un ingresso che, da quanto dicono precedenti scritti, sembra fosse denominato Porta Volterrana, mentre sul lato opposto, da dove s'intravedono in lontananza i fumosi refrigeranti di Sasso Pisano, si trovano i resti della Porta Piombinese e la base di un'altra torre. L'antica costruzione doveva avere una discreta dimensione poiché, in base ai resti delle sue massicce mura che la delimitano, l'area occupata può essere calcolata intorno a quindicimila metri quadri.
Dell'origine di questo castello non abbiamo precisi riferimenti; alcuni infatti suppongono che sia stato eretto al tempo del vescovo di Volterra Ildebrando Pannocchieschi, mentre altri non escludono riferimenti al tempo di Galgano del Pannocchieschi. A seguito di alcuni ritrovamenti di reperti archeologici, consistenti in una moneta romana e di qualche altro oggetto antico, compresa la punta di una lancia, si suppone che in quel luogo sorgesse, nell'epoca romana, il centro di Martugnano.
Si dice poi che Castel Volterrano, al tempo in cui era vescovo Ranieri II degli Ubertini, divenne la roccaforte e il rifugio di una banda di ladroni, non meglio identificata, ma che tutto lascia supporre che fosse agli ordini dei cosiddetti "nobili di boscaglia". Il Vescovo, nella sua qualità di capitano del popolo, per eliminare il pericolo e la viva preoccupazione degli abitanti della zona, ordinò la completa distruzione del castello e, da quanta si dice, anche l'uccisione di quanti vi abitavano. Da bravo ministro della chiesa provvide sicuramente a far somministrare loro i Santi Sacramenti.
Alla fine del Duecento Castel Volterrano si trovò fra i possessi nel contado del Comune di Volterra a cui fecero giuramento di fedeltà. Il territorio di Castel Volterrano, di conseguenza, fu scorporato dalla comunità di Castelnuovo Val di Cecina, elevandosi per importanza ai castelli di Canneto, della Leccia, di Bruciano, di San Dalmazio, di Acquaviva, di Monte Rufoli, della Sassa, di Caselli, di Montegemoli, di Miemo o Rocca Pietra Cassa, di Sorbaiano, di Buriano, di Agnana, di Villamagna, di Cedoderi e della Nera. Una scelta che le dotò di possenti mura, sotto la supervisione di Ranuccio di Ugolino Allegretti.
Passato in mano al Comune, nel Trecento, Volterra restaurò il castello con tanto di ricostruzione di solide mura di cinta. Essendo sotto il dominio del partito guelfo, provvide di nuovo a rafforzare i suoi confini meridionali per evitare il pericolo d'incursioni delle truppe pisane e ghibelline. Una duplice cinta di mura formava un quadrilatero di notevoli dimensioni, con i lati minori leggermente ricurvi. Sul lato sud-ovest si apriva la Porta Piombinese, presso una torre mozza. Sul lato a nord est i resti della Porta Volterrana e fuori, le rovine della chiesa di Sant'Andrea in Castelpopuli, nota come Cappella Lotti.
Nel Quattrocento il castello risultava sempre fra i possessi di Volterra, ma si presentava essere una postazione ormai di poca importanza. Tant'è vero che, nella metà del Quattrocento, a seguito della invasione di Alfonso d'Aragona, Castel Volterrano venne sopraffatto e le sue torri furono distrutte. Dopo tale epoca questo antico castello non venne più ricostruito né rammentato dalle cronache: è da supporre che la sua brulla zona si sia spopolata e che abbia subìto un graduale abbandono, come tante altre costruzioni del passato.
Si riparlò di Castel Volterrano negli anni Sessanta del Novecento, perché, per interessamento del Comune di Castelnuovo Val di Cecina, la Sovrintendenza alle Antichità e Belle Arti decise di fare un sopralluogo; fu stanziata anche una piccola somma per finanziare i lavori di scavo, proprio per comprendere le origini di questo antico maniero. Tale iniziativa fece repert-s qualche oggetto in terracotta, ma poi terminati i fondi stanziati, tutto fu di nuovo abbandonato.
I ruderi, in certi punti, si presentano come bozze ammucchiate, tanto sono allentate dal groviglio di rami e di radici del piccolo ma fitto bosco. La chiesetta di Sant'Andrea, un tempo filiale delta pieve di San Giovanni di Morba, presenta solo qualche muro perimetrale e del cimitero, che si estendeva al suo fianco, non ne rimane alcuna traccia.
La cinta delle mura, tuttora ben visibile sotto i rovi che ne coprono la parte più alta, è circondata da un bel prato raso e fresco. I rovi, quasi per magia, custodiscono un antico segreto, mascherano fino a pochi passi di distanza quello che rimane delle costruzioni che si alzavano dentro la cinta, su un territorio di circa quindicimila metri quadrati. Sotto il groviglio quasi inestricabile dei rami si possono scoprire i resti di muri maestri e di sotterranei; cisterne, dove oggi come secoli fa, si raccoglie l'acqua, e una torre massiccia le cui mura robuste si elevano ancora per alcuni metri. Tutto intorno silenzio e solitudine e in lontananza i fumacchi del Sasso.
Castel Volterrano, noto anche come Rocchettina del Volterrano o di Castelpopuli, si trova sul Poggio al Maltempo, a sentinella dell'ultimo baluardo del vasto territorio volterrano. Oggi in totale rovina, vi si accede, mediante una strada, la quale, partendo dal cimitero di Castelnuovo Val di Cecina, si perde sui monti sovrastanti che gradatamente scendono sulla Val di Cornia. La strada inizialmente è in buono stato, ma appena ci si inoltra per quelle impervie alture, si incomincia a percorrere uno stradone di campagna pressoché acciottolato, dal percorso obbligato e tortuoso.
E' questa l'unica strada esistente, costruita dalla Società Larderello per arrivare ad un impianto boracifero sperimentale di perforazione eretto qui nelle sue vicinanze. La fonte di vapore che scaturì da quel saggio, poi risultata di limitata portata, fu giudicata antieconomica e fu abbandonata. I particolari e costosi impianti, che necessitavano all'occasione, non erano confortati da un'adeguata resa, senza considerare la difficile utilizzazione a causa del raffreddamento che il vapore stesso avrebbe subìto nel lungo tragitto fino alla più prossima centrale.
L'ascesa, seppur ripida, è breve e per prima cosa s'incontrano le rovine della prima cinta muraria. Il castello si presenta agli occhi del visitatore come un enorme bastione, quasi di forma quadrata, con ad ogni suo canto una guardiola sovrastate da una imponente torre che si eleva verso il cielo. Questo bastione, nella parte più bassa, è costruito in bozzato, poi sostituito da mattoni. La porta di accesso alla Rocca, rispetto a chi sale verso la cima della collina, è sul retro ed è situata ai pedi della torre.
Davanti all'ingresso c'è una profonda cisterna per la conservazione dell'acqua piovana, ricavata nel masso che s'incunea anche sotto la costruzione. L'apertura del mastodontico deposito trova nello stretto tratto che separa la porta di accesso dallo strapiombo sottostante ed è quantomeno vertiginoso trovarsi a metà fra il burrone e la cisterna, ritti su poco più di un metro e mezzo di roccia, a fissare quel baratro e cercando di guadagnare al più presto la Rocca. Ovviamente, meglio precisare, tutto è in sicurezza; non si incorre ad alcuna tipologia di pericolo.
Il terreno di questa zona o è scaglioso ed argilloso, in prevalenza composto da banchi di calcare e da cisti di argilla dove si trovano poche case coloniche. Ma la particolarità dell'escursione non è determinata da queste caratteristiche di un ambiente selvaggio ed isolato, bensì dal clima stregato, che regala Poggio al Maltempo. I resti del castello si conservano su un altopiano e si raggiungono attraversando un campo che li circonda con un fitto palèo che, in alcuni punti arriva oltre mezza vita, nascondendo così alla vista il terreno e le sue possibili insidie, per lasciare il posto salo ai vari ciuffi di vegetazione, che celano i ruderi dell'antica costruzione.
Prima di arrivare ai ruderi, s'incontra il podere Poggibiada e poco più in là, un'altra casa colonica; per costruire questi due fabbricati sono state utilizzate senz'altro bozze e pietre del diruto maniero. Per primi, sulla destra dello stradone, s'incontrano i pochi resti della chiesetta di Sant'Andrea in Castelpopuli, che risultava ancora in piedi nella seconda metà del Settecento.
Castel Volterrano si trova a breve distanza dai resti di questo oratorio, che non è compreso entro la cinta muraria. L'intera costruzione del castello, com'è possibile constatare ancora dai suoi resti, aveva forma quadrangolare ed era racchiusa da una doppia cinta muraria. I suoi ruderi non oltrepassano i due, tre metri di altezza; al centro si nota la base della sua più grossa torre e, ai piedi di questa, si vedono alcuni gradini che scendono nei sotterranei.
Sempre all'interno della cinta rnuraria, sono visibili i resti di altre costruzioni e delle cisterne dell'acqua piovana. Sul lato nord est c'è un ingresso che, da quanto dicono precedenti scritti, sembra fosse denominato Porta Volterrana, mentre sul lato opposto, da dove s'intravedono in lontananza i fumosi refrigeranti di Sasso Pisano, si trovano i resti della Porta Piombinese e la base di un'altra torre. L'antica costruzione doveva avere una discreta dimensione poiché, in base ai resti delle sue massicce mura che la delimitano, l'area occupata può essere calcolata intorno a quindicimila metri quadri.
Dell'origine di questo castello non abbiamo precisi riferimenti; alcuni infatti suppongono che sia stato eretto al tempo del vescovo di Volterra Ildebrando Pannocchieschi, mentre altri non escludono riferimenti al tempo di Galgano del Pannocchieschi. A seguito di alcuni ritrovamenti di reperti archeologici, consistenti in una moneta romana e di qualche altro oggetto antico, compresa la punta di una lancia, si suppone che in quel luogo sorgesse, nell'epoca romana, il centro di Martugnano.
Si dice poi che Castel Volterrano, al tempo in cui era vescovo Ranieri II degli Ubertini, divenne la roccaforte e il rifugio di una banda di ladroni, non meglio identificata, ma che tutto lascia supporre che fosse agli ordini dei cosiddetti "nobili di boscaglia". Il Vescovo, nella sua qualità di capitano del popolo, per eliminare il pericolo e la viva preoccupazione degli abitanti della zona, ordinò la completa distruzione del castello e, da quanta si dice, anche l'uccisione di quanti vi abitavano. Da bravo ministro della chiesa provvide sicuramente a far somministrare loro i Santi Sacramenti.
Alla fine del Duecento Castel Volterrano si trovò fra i possessi nel contado del Comune di Volterra a cui fecero giuramento di fedeltà. Il territorio di Castel Volterrano, di conseguenza, fu scorporato dalla comunità di Castelnuovo Val di Cecina, elevandosi per importanza ai castelli di Canneto, della Leccia, di Bruciano, di San Dalmazio, di Acquaviva, di Monte Rufoli, della Sassa, di Caselli, di Montegemoli, di Miemo o Rocca Pietra Cassa, di Sorbaiano, di Buriano, di Agnana, di Villamagna, di Cedoderi e della Nera. Una scelta che le dotò di possenti mura, sotto la supervisione di Ranuccio di Ugolino Allegretti.
Passato in mano al Comune, nel Trecento, Volterra restaurò il castello con tanto di ricostruzione di solide mura di cinta. Essendo sotto il dominio del partito guelfo, provvide di nuovo a rafforzare i suoi confini meridionali per evitare il pericolo d'incursioni delle truppe pisane e ghibelline. Una duplice cinta di mura formava un quadrilatero di notevoli dimensioni, con i lati minori leggermente ricurvi. Sul lato sud-ovest si apriva la Porta Piombinese, presso una torre mozza. Sul lato a nord est i resti della Porta Volterrana e fuori, le rovine della chiesa di Sant'Andrea in Castelpopuli, nota come Cappella Lotti.
Nel Quattrocento il castello risultava sempre fra i possessi di Volterra, ma si presentava essere una postazione ormai di poca importanza. Tant'è vero che, nella metà del Quattrocento, a seguito della invasione di Alfonso d'Aragona, Castel Volterrano venne sopraffatto e le sue torri furono distrutte. Dopo tale epoca questo antico castello non venne più ricostruito né rammentato dalle cronache: è da supporre che la sua brulla zona si sia spopolata e che abbia subìto un graduale abbandono, come tante altre costruzioni del passato.
Si riparlò di Castel Volterrano negli anni Sessanta del Novecento, perché, per interessamento del Comune di Castelnuovo Val di Cecina, la Sovrintendenza alle Antichità e Belle Arti decise di fare un sopralluogo; fu stanziata anche una piccola somma per finanziare i lavori di scavo, proprio per comprendere le origini di questo antico maniero. Tale iniziativa fece repert-s qualche oggetto in terracotta, ma poi terminati i fondi stanziati, tutto fu di nuovo abbandonato.
I ruderi, in certi punti, si presentano come bozze ammucchiate, tanto sono allentate dal groviglio di rami e di radici del piccolo ma fitto bosco. La chiesetta di Sant'Andrea, un tempo filiale delta pieve di San Giovanni di Morba, presenta solo qualche muro perimetrale e del cimitero, che si estendeva al suo fianco, non ne rimane alcuna traccia.
La cinta delle mura, tuttora ben visibile sotto i rovi che ne coprono la parte più alta, è circondata da un bel prato raso e fresco. I rovi, quasi per magia, custodiscono un antico segreto, mascherano fino a pochi passi di distanza quello che rimane delle costruzioni che si alzavano dentro la cinta, su un territorio di circa quindicimila metri quadrati. Sotto il groviglio quasi inestricabile dei rami si possono scoprire i resti di muri maestri e di sotterranei; cisterne, dove oggi come secoli fa, si raccoglie l'acqua, e una torre massiccia le cui mura robuste si elevano ancora per alcuni metri. Tutto intorno silenzio e solitudine e in lontananza i fumacchi del Sasso.
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Novembre 4, 2024 11:51 local time