Le origini di Miemo

Una fortificazione antichissima

Il castello di Miemo ebbe una certa importanza per trovarsi presso i confini tra Volterra e Pisa. L'imperatore Ottone I lo concesse in signoria al tedesco Buoso, suo gentiluomo, dal quale discesero i Buonaguidi, che ebbero il titolo di conti di Miemo, fatti poi cittadini volterrani e persino consoli.

Poco prima del Duecento l'imperatore lo concesse come feudo al vescovo di Volterra con numerosi castelli del volterrano. Tuttavia questi diplomi di Signoria feudale furono causa di lunghe contese, a volte molto aspre, tra Chiesa e Comune di Volterra, per il possesso tanto di questo, quanto di altri castelli; faide che terminarono nel Trecento con la vittoria del Comune, dalla cui parte si tennero quasi sempre i signori e gli abitanti di Miemo.

Nel Trecento tuttavia, dopo la grande vittoria che i Pisani riportarono a Montecatini Valdinievole contro la Lega Guelfa composta di Fìorentini e i Volterrani, fu stabilita come atto di tregua la demolizione di tutte le fortificazioni del Comune di Volterra potenziate durante le ostilità, e particolarmente i castelli di Miemo e di Gabbreto.

Contese a non finire

Una questione tra Pisa e Volterra

Gli abitanti di Miemo si opposero alla distruzione del loro castello. Il Comune di Volterra, che comunque aveva a cuore gli abitanti di Miemo, non poteva venire meno al patto di tregua stipulato con Pisa. Volterra a riguardo inviò il proprio esercito per farne terra bruciata e contrastare i ribelli, ma fu una situazione complessa persino per i soldati che si rifiutarono di attaccare i propri conterranei. Il Comune dovette chiamare masnade da fuori per ottenere libertà di azione su Miemo.

Successivamente il castello di Miemo, che forse non fu totalmente distrutto o nuovamente fortificato, venne occupato dai pisani dalle truppe dell'imperatore Lodovico IV, detto il Bàvaro. A quel punto Volterra, sentitosi sotto velata minaccia, si prodigò a riprenderselo neutralizzandolo e distruggendo tutte le fortificazioni innalzate dai pisani, portando questo luogo ad una pace tutt'ora presente.

Alla fine dell'Ottocento venne sottoposto sotto il Comune di Montecatini indennizzando Volterra col cambio di Mazzolla.

Dalla Miemmite ai bagni d'acqua sulfurea

Morfologia del territorio

Miemo, al di là della storia bellica, è nota ai cultori per la sua storia naturale. A questa zona si deve la singolare roccia calcare-magnesiaca, qui scoperta verso la metà dell'Ottocento, alla quale Tomson diede il nome di Miemite o Miemmite, adottato poi da tutti i naturalisti.

I poggi serpentinosi dei contorni di Miemo, specialmente quelli che pendono verso il fiume Cecina sono ricchi di castagni e di cupe foreste di faggi, mentre dal lato opposto, dove predomina il mattaione, la flora scarseggia, prestandosi meglio all'agricoltura. Non mancano le miniere di rame, i banchi di lignite che si trovavano specialmente nella frazione di Strido, e i bagni di acqua calda alimentata da vapori endogeni che caratterizzano gran parte dell'Alta Valdicecina.

Le proprietà curative che possono avere queste acque sono state ampiamente riconosciute, ma gli antichi di Miemo erano convinti che quest'acqua sanasse solo gli ammalati di idropisia e di rogna, da bersi in quantità e nello stesso tempo immergervici; purché, per l'idropisia, presa all'inizio della malattia.

Le origini di Miemo

Una fortificazione antichissima

Il castello di Miemo ebbe una certa importanza per trovarsi presso i confini tra Volterra e Pisa. L'imperatore Ottone I lo concesse in signoria al tedesco Buoso, suo gentiluomo, dal quale discesero i Buonaguidi, che ebbero il titolo di conti di Miemo, fatti poi cittadini volterrani e persino consoli.

Poco prima del Duecento l'imperatore lo concesse come feudo al vescovo di Volterra con numerosi castelli del volterrano. Tuttavia questi diplomi di Signoria feudale furono causa di lunghe contese, a volte molto aspre, tra Chiesa e Comune di Volterra, per il possesso tanto di questo, quanto di altri castelli; faide che terminarono nel Trecento con la vittoria del Comune, dalla cui parte si tennero quasi sempre i signori e gli abitanti di Miemo.

Nel Trecento tuttavia, dopo la grande vittoria che i Pisani riportarono a Montecatini Valdinievole contro la Lega Guelfa composta di Fìorentini e i Volterrani, fu stabilita come atto di tregua la demolizione di tutte le fortificazioni del Comune di Volterra potenziate durante le ostilità, e particolarmente i castelli di Miemo e di Gabbreto.

Contese a non finire

Una questione tra Pisa e Volterra

Gli abitanti di Miemo si opposero alla distruzione del loro castello. Il Comune di Volterra, che comunque aveva a cuore gli abitanti di Miemo, non poteva venire meno al patto di tregua stipulato con Pisa. Volterra a riguardo inviò il proprio esercito per farne terra bruciata e contrastare i ribelli, ma fu una situazione complessa persino per i soldati che si rifiutarono di attaccare i propri conterranei. Il Comune dovette chiamare masnade da fuori per ottenere libertà di azione su Miemo.

Successivamente il castello di Miemo, che forse non fu totalmente distrutto o nuovamente fortificato, venne occupato dai pisani dalle truppe dell'imperatore Lodovico IV, detto il Bàvaro. A quel punto Volterra, sentitosi sotto velata minaccia, si prodigò a riprenderselo neutralizzandolo e distruggendo tutte le fortificazioni innalzate dai pisani, portando questo luogo ad una pace tutt'ora presente.

Alla fine dell'Ottocento venne sottoposto sotto il Comune di Montecatini indennizzando Volterra col cambio di Mazzolla.

Dalla Miemmite ai bagni d'acqua sulfurea

Morfologia del territorio

Miemo, al di là della storia bellica, è nota ai cultori per la sua storia naturale. A questa zona si deve la singolare roccia calcare-magnesiaca, qui scoperta verso la metà dell'Ottocento, alla quale Tomson diede il nome di Miemite o Miemmite, adottato poi da tutti i naturalisti.

I poggi serpentinosi dei contorni di Miemo, specialmente quelli che pendono verso il fiume Cecina sono ricchi di castagni e di cupe foreste di faggi, mentre dal lato opposto, dove predomina il mattaione, la flora scarseggia, prestandosi meglio all'agricoltura. Non mancano le miniere di rame, i banchi di lignite che si trovavano specialmente nella frazione di Strido, e i bagni di acqua calda alimentata da vapori endogeni che caratterizzano gran parte dell'Alta Valdicecina.

Le proprietà curative che possono avere queste acque sono state ampiamente riconosciute, ma gli antichi di Miemo erano convinti che quest'acqua sanasse solo gli ammalati di idropisia e di rogna, da bersi in quantità e nello stesso tempo immergervici; purché, per l'idropisia, presa all'inizio della malattia.

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