Inerpicato su un poggio di gabbro alla sinistra del torrente Possera, figura l'antico borgo di Montecerboli. Tagliato fuori da qualsiasi via di comunicazione, domina solitaria le ultime terre pomarancine della Valle del Diavolo. Tralasciando la parte moderna di essa, che si sviluppa ai suoi piedi e sulle scoscese strade di collina, all'antico borgo vi si accede da una bella e antica porta in pietra con arco a tutto sesto. Questa porta è testimone di un passato antico, conservato intatto nei secoli fino ad oggi, che solo con la sua presenza fisica ci invita ad immedesimarci in un scenario di altri tempi.
Seppur vittima di inevitabili restauri scorretti eseguiti negli anni passati, lo stato conservativo del centro storico è più che soddisfacente; si gode di un'atmosfera medievale che ci riporta a quando Montecerboli prendeva il nome di Monte Cerbero e si figurava in un castello conteso tra il Comune e la Chiesa di Volterra. La sua importante altitudine garantiva una visione a trecentosessanta gradi su tutte le vallate circostanti, molte delle quali sotto il suo dominio.
Montecerboli trovandosi per lungo tempo tributario di Volterra, si vede vincolato alla sua storia. Tra l'inizio del secondo millennio e la fine del Trecento, a seconda dei diverbi fra il Vescovo e il Comune di Volterra, gli uomini di Montecerboli prestavano obbedienza di sudditanza alla città piuttosto che al loro prelato, o viceversa. Sono rari i momenti di pace; storica fu la decisione di scegliere i rettori di Montecerboli, estraendoli da un gruppo di duecento cittadini volterrani, aventi l'investitura del Vescovo.
Pure nel Quattrocento, in pieno declino politico e militare della Diocesi si alternarono le autorità. Memorabile la sentenza contro il Comune di Volterra: a seguito della sua ribellione contro Firenze, aveva perso il diritto di eleggere i suoi podestà e i suoi giurisdicenti del contado volterrano, ma siccome i rettori della repubblica fiorentina avevano molta stima di Stefano da Prato, Vescovo di Volterra, vollero conservare in suo favore gli antichi diritti, fra i quali, quello di eleggere e di poter inviare ogni sei mesi i rettori a governare gli abitanti dei castelli di Montecerboli, Pomarance, Leccia, Sasso e Serrazzano, rilasciandogli per detto tempo anche il potere sulle condanne.
Le fumarole sono ciò che più di vero si potrebbe raccontare di tutta questa storia; oggi sono uno spettacolo unico da vedersi con stupore dalle terrazze del centro storico, ma un tempo generava grandi preoccupazioni. Perché la terra si sfogasse e sbuffasse in quel modo non era molto chiaro alla ragione degli uomini e l'unica spiegazione valida si affidava al concetto che fossero i luoghi d'ingresso dell'inferno, da dove passavano i dannati.
Le disquisizioni di scienza per molti secoli sono state compromesse dall'incedere continuo di storie e leggende inquietanti, una più orrida dell'altra. La più conosciuta tra queste narra che in certe notti burrascose si sente lo screpitio del fuoco, accampagnato da infimi latrati. E' Cerbero che ritorna dagli inferi, ai piedi della montagna, giù nelle valli boscose colme di putizze e fumarole; c'è chi giura d'averlo visto con i propri occhi, nero come la notte, rapido come il fulmine, fragoroso come il tuono. Rabbioso come un cane.
Esiste comunque, anche un’altra teoria, meno suggestiva, che fa risalire il nome di Monte Cerbero a Monte Cervuli, per l’abbondanza dei cervi in questa zona; tesi questa avvalorata dal fatto che lo stemma della comunità, raffigura appunto un cervo sullo sfondo delle colline. Un antico richiamo alla natura, dunque, che ancora oggi rispetta nel suo essere poco abitato, in un ritorno alla incontaminazione umana. Allo stato attuale Montecerboli è un paese che conta poche anime, e sopravvive essenzialmente del lavoro che i soffioni boraciferi assicurano alla produzione dell’energia elettrica.
A questa azienda sono dipesi gli sviluppi demografici della zona in epoca moderna e contemporanea; dopo secoli di stasi che si sono susseguiti dalla fine del Quattrocento fino alla Ottocento, l’industria boracifera “Larderello” (oggi Enel - Eni) con l'assunzione di nuova manodopera risvegliò uno intorpidimento sociale culturale ed edilizio di questa parte del pomarancino. Oggi però, per effetto della globalizzazione, Montecerboli è ritornata a soffrire di un calo di popolazione non indifferente.
Inerpicato su un poggio di gabbro alla sinistra del torrente Possera, figura l'antico borgo di Montecerboli. Tagliato fuori da qualsiasi via di comunicazione, domina solitaria le ultime terre pomarancine della Valle del Diavolo. Tralasciando la parte moderna di essa, che si sviluppa ai suoi piedi e sulle scoscese strade di collina, all'antico borgo vi si accede da una bella e antica porta in pietra con arco a tutto sesto. Questa porta è testimone di un passato antico, conservato intatto nei secoli fino ad oggi, che solo con la sua presenza fisica ci invita ad immedesimarci in un scenario di altri tempi.
Seppur vittima di inevitabili restauri scorretti eseguiti negli anni passati, lo stato conservativo del centro storico è più che soddisfacente; si gode di un'atmosfera medievale che ci riporta a quando Montecerboli prendeva il nome di Monte Cerbero e si figurava in un castello conteso tra il Comune e la Chiesa di Volterra. La sua importante altitudine garantiva una visione a trecentosessanta gradi su tutte le vallate circostanti, molte delle quali sotto il suo dominio.
Montecerboli trovandosi per lungo tempo tributario di Volterra, si vede vincolato alla sua storia. Tra l'inizio del secondo millennio e la fine del Trecento, a seconda dei diverbi fra il Vescovo e il Comune di Volterra, gli uomini di Montecerboli prestavano obbedienza di sudditanza alla città piuttosto che al loro prelato, o viceversa. Sono rari i momenti di pace; storica fu la decisione di scegliere i rettori di Montecerboli, estraendoli da un gruppo di duecento cittadini volterrani, aventi l'investitura del Vescovo.
Pure nel Quattrocento, in pieno declino politico e militare della Diocesi si alternarono le autorità. Memorabile la sentenza contro il Comune di Volterra: a seguito della sua ribellione contro Firenze, aveva perso il diritto di eleggere i suoi podestà e i suoi giurisdicenti del contado volterrano, ma siccome i rettori della repubblica fiorentina avevano molta stima di Stefano da Prato, Vescovo di Volterra, vollero conservare in suo favore gli antichi diritti, fra i quali, quello di eleggere e di poter inviare ogni sei mesi i rettori a governare gli abitanti dei castelli di Montecerboli, Pomarance, Leccia, Sasso e Serrazzano, rilasciandogli per detto tempo anche il potere sulle condanne.
Le fumarole sono ciò che più di vero si potrebbe raccontare di tutta questa storia; oggi sono uno spettacolo unico da vedersi con stupore dalle terrazze del centro storico, ma un tempo generava grandi preoccupazioni. Perché la terra si sfogasse e sbuffasse in quel modo non era molto chiaro alla ragione degli uomini e l'unica spiegazione valida si affidava al concetto che fossero i luoghi d'ingresso dell'inferno, da dove passavano i dannati.
Le disquisizioni di scienza per molti secoli sono state compromesse dall'incedere continuo di storie e leggende inquietanti, una più orrida dell'altra. La più conosciuta tra queste narra che in certe notti burrascose si sente lo screpitio del fuoco, accompagnato da infimi latrati. E' Cerbero che ritorna dagli inferi, ai piedi della montagna, giù nelle valli boscose colme di putizze e fumarole; c'è chi giura d'averlo visto con i propri occhi, nero come la notte, rapido come il fulmine, fragoroso come il tuono. Rabbioso come un cane.
Esiste comunque, anche un’altra teoria, meno suggestiva, che fa risalire il nome di Monte Cerbero a Monte Cervuli, per l’abbondanza dei cervi in questa zona; tesi questa avvalorata dal fatto che lo stemma della comunità, raffigura appunto un cervo sullo sfondo delle colline. Un antico richiamo alla natura, dunque, che ancora oggi rispetta nel suo essere poco abitato, in un ritorno alla incontaminazione umana. Allo stato attuale Montecerboli è un paese che conta poche anime, e sopravvive essenzialmente del lavoro che i soffioni boraciferi assicurano alla produzione dell’energia elettrica.
A questa azienda sono dipesi gli sviluppi demografici della zona in epoca moderna e contemporanea; dopo secoli di stasi che si sono susseguiti dalla fine del Quattrocento fino alla Ottocento, l’industria boracifera “Larderello” (oggi Enel - Eni) con l'assunzione di nuova manodopera risvegliò uno intorpidimento sociale culturale ed edilizio di questa parte del pomarancino. Oggi però, per effetto della globalizzazione, Montecerboli è ritornata a soffrire di un calo di popolazione non indifferente.
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Ottobre 11, 2024 00:04 local time