L'antico convento sulle colline di gabbro

Convento dei Padri Celestini

Percorrendo la tortuosa strada provinciale che da Po­marance giunge a Montecerboli, l'attenzione viene catturata dalle gigantesche pareti di gabbro che costeggiano il lato sinistro della banchina e la costruzione diroccata di pietra chiara lassù sulle colline boscose sulla destra. Un tempo queste erano le terre di Spartaciano e avevano comunità proprio intorno a quell'eremo lassù che, dal Trecento fino alla fine del Settecento, costi­tuì un centro di preghiere, di speranza e di guarigione per molti ammalati.

Nel Trecento queste zone erano capitolate sotto la giurisdizione del Comune di Volterra, la quale, su richiesta del pievano di Morba, acconsentì alla costruzione di un convento e di una chiesa sopra il Botro delle Vignacce: il complesso conventuale venne affidato in gestione ai monaci Celestini di San Michele Visdomini di Firenze. I monaci dedicarono il convento a San Michele Arcangelo e qui intrapresero una lunga vita eremitica che veniva infranta soltanto per curare i malati bisognosi.

> Scopri, San Michele alle Formiche

A beneficio dei malati

Acque solforose per gli artritici

I malati ospitati dai padri Celestini erano gli artritici, i quali potevano godere di un vicino e antico bagno dalle mirabolanti virtù salutari. Il bagno, gestito dal cenobio, esisteva già dai tempi dei romani e aveva luogo in fondo alla valle, ai piedi della collina, dove il Botro delle Vignacce e il Fosso di Radicagnoli si uniscono per dare origine al Fosso di San Michele.

Il sito prende il nome di Bagno di San Michele Aracangiolo, ma rimane alla storia come il Bagno di Spartaciano, odonomastica più antica che fa riferimento all'Ager Spartacianus, da tradursi in Terra di Spartaco. Spartaco noi non lo conosciamo, ma probabilmente era un legionario romano veterano che qui aveva acquisito delle terre grazie alle agevolazioni della legge Julia definita nel 59 a.C e voluta da Giulio Cesare.

Durante l'epoca imperiale romana le sorgenti calde di questo bagno, assieme a quelle di Morba e della Perla, facevano parte del complesso diffuso delle Terme di Volterra, riportate nel più antico documento geografico che si conosca: la cosiddetta Tavola Peutingeriana.

A beneficio dei malati

Acque curative per i lebbrosi

Isolato com'era dal resto del mondo, sotto la cura del cenobio, trovarono posto pure i lebbrosi; per loro restaurarono parte dell'antico bagno ro­mano, costruendovici un piccolo lazzaretto. Al suo interno erano state fatte costruire anche delle vasche di decantazione in pietra dove confluire l’acqua termale curativa. La notorietà delle sue virtù terapeutiche non mancò di attirare sul luogo, oltre che una folta schiera di sof­ferenti, anche rinomati naturalisti che esaminarono le sorgenti, ne descrissero le caratteristiche, ne fecero una seppur som­maria analisi. Una fama che si protrasse fino alla fine del Settecento e che si esaurì con la mancata gestione da parte dei monaci, i quali cominciarono a risentire le ingiurie del tempo sul loro convento, senza potervi fare niente per restaurarlo.

Fu così che i Celestini vennero richiamati a Firenze in luogo più consono, lasciando alla natura il destino di quel magico eremo che, in tempi di grande splendore, poteva contare sul supporto economico di oltre trecento ammalati all'anno.

Le strade più frequentate

Due sentieri per i bagni

Volendo raggiungere le antiche terme bisogna prendere il bivio alla destra per Sant'Ippolito lungo la provinciale che da Pomarance porta a Montecerboli. Arrivati al bivio per Le Vignacce, è necessario proseguire a sinistra, scendendo a piedi intorno al poggio, per circa ottocento metri. Durante il per­corso, sulla sinistra, si possono scorgere i resti di una ottocentesca miniera di rame, costituita da una lunga galleria, ora parzialmente allagata, che si perde nella roccia; davanti al­l’imbocco è stata costruita una grossa vasca di decantazione adibita ad abbeveratoio per le pecore.

Le terme sono raggiungibili anche dalla provinciale, senza dover prendere il bivio per Sant'Ippolito; parcheggiando lungo la strada in prossimità del Madonnino dei Gabbri. Da qui un sentiero ripido scende a valle tra i boschi e giunge, in un trascorso di cinquecento metri, al complesso termale con i locali dotati di vasche in pietra per i bagni. La struttura, seppure in precarie condizioni, si mostra integra; è frutto di un ultimo restauro di fine Settecento da parte di De Larderel che ci aveva visto un potenziale economico. Il progetto poi fallì miseramente, ma il restauro ha preservato la sua identità.

Bagni caldi sul fiume Radicagnoli

Quel che rimane delle terme

Il complesso termale si distribuisce su due edifici al limitare del torrente Radicagnoli: da una parte vi erano otto camere con osteria e chiesetta, dall'altra le vasche di acqua sulfurea. I due edifici sono distribuiti letteralmente ai lati del torrente, uniti da un caratteristico ponte coperto a tre archi. Il ponte, ormai inagibile, permetteva di passare dalla taverna alle vasche senza guadare il fiumiciattolo, che ancora oggi è agitato con i suoi salti d'acqua, cascatelle e pozzi profondi.

La parte più interessante dei Bagni di Spartaciano è la meravigliosa piscina custodita segretamente in uno dei piani terra di questi edifici abbandonati. Si tratta di una stanza, un tempo affrescata di blu, con una vasca che ricopre tutto il pavimento ad esclusione di uno stretto cordolo di passaggio disposto lungo le pareti. L'acqua solforosa è molto tiepida, ma un tempo raggiungeva temperature che variavano dai 34° a 51°, con virtù terapeutiche adatte alla cura dei dolori, paralisi, piaghe e malattie della pelle.

A fianco dei Bagni di Spartaciano si intravede una mulattiera in salita, questa, per chi volesse, porta fino al cenobio di San Michele alle Formiche.

Una leggenda del luogo

Il pozzo della campana

Una leggenda legata al convento di San Michele racconta di una campana della chiesa del cenobio, ormai in rovina, staccarsi dal campanile. Rotolando giù per la collina, cadde nel botro dove si trovano le Terme di Spartaciano. La campana non si fermò sul greto, ma seguitò a sprofondare, scavando nella roccia un pozzo profondissimo che poi si riempì d’acqua sulfurea. Pare che dal bordo del pozzo si possano sentire ancora i rintoc­chi della campana che giace sul fondo.

Il fascino della favola è alimentato dal posto veramente suggestivo dove si trova il cosid­detto Pozzo della Campana. Questo è, in effetti, una profonda camera quasi cir­colare dalle pareti di pietra liscia, nel letto del Fosso di San Michele; la sua apertura superiore è quasi nascosta dai fitti arbusti della macchia; l’acqua vi cade da una cascatella alta poco più di tre metri ed è difficile apprezzare a vista quanto la cavità sia pro­fonda. Da una spaccatura longitudinale della roccia verso nord l’acqua decanta poi nel letto basso del torrente che prosegue il suo corso.

> Scopri, Pozzo della Campana

L'antico convento sulle colline di gabbro

Convento dei Padri Celestini

Percorrendo la tortuosa strada provinciale che da Po­marance giunge a Montecerboli, l'attenzione viene catturata dalle gigantesche pareti di gabbro che costeggiano il lato sinistro della banchina e la costruzione diroccata di pietra chiara lassù sulle colline boscose sulla destra. Un tempo queste erano le terre di Spartaciano e avevano comunità proprio intorno a quell'eremo lassù che, dal Trecento fino alla fine del Settecento, costi­tuì un centro di preghiere, di speranza e di guarigione per molti ammalati.

Nel Trecento queste zone erano capitolate sotto la giurisdizione del Comune di Volterra, la quale, su richiesta del pievano di Morba, acconsentì alla costruzione di un convento e di una chiesa sopra il Botro delle Vignacce: il complesso conventuale venne affidato in gestione ai monaci Celestini di San Michele Visdomini di Firenze. I monaci dedicarono il convento a San Michele Arcangelo e qui intrapresero una lunga vita eremitica che veniva infranta soltanto per curare i malati bisognosi.

> Scopri, San Michele alle Formiche

A beneficio dei malati

Acque solforose per gli artritici

I malati ospitati dai padri Celestini erano gli artritici, i quali potevano godere di un vicino e antico bagno dalle mirabolanti virtù salutari. Il bagno, gestito dal cenobio, esisteva già dai tempi dei romani e aveva luogo in fondo alla valle, ai piedi della collina, dove il Botro delle Vignacce e il Fosso di Radicagnoli si uniscono per dare origine al Fosso di San Michele.

Il sito prende il nome di Bagno di San Michele Aracangiolo, ma rimane alla storia come il Bagno di Spartaciano, odonomastica più antica che fa riferimento all'Ager Spartacianus, da tradursi in Terra di Spartaco. Spartaco noi non lo conosciamo, ma probabilmente era un legionario romano veterano che qui aveva acquisito delle terre grazie alle agevolazioni della legge Julia definita nel 59 a.C e voluta da Giulio Cesare.

Durante l'epoca imperiale romana le sorgenti calde di questo bagno, assieme a quelle di Morba e della Perla, facevano parte del complesso diffuso delle Terme di Volterra, riportate nel più antico documento geografico che si conosca: la cosiddetta Tavola Peutingeriana.

A beneficio dei malati

Acque curative per i lebbrosi

Isolato com'era dal resto del mondo, sotto la cura del cenobio, trovarono posto pure i lebbrosi; per loro restaurarono parte dell'antico bagno ro­mano, costruendovici un piccolo lazzaretto. Al suo interno erano state fatte costruire anche delle vasche di decantazione in pietra dove confluire l’acqua termale curativa. La notorietà delle sue virtù terapeutiche non mancò di attirare sul luogo, oltre che una folta schiera di sof­ferenti, anche rinomati naturalisti che esaminarono le sorgenti, ne descrissero le caratteristiche, ne fecero una seppur som­maria analisi. Una fama che si protrasse fino alla fine del Settecento e che si esaurì con la mancata gestione da parte dei monaci, i quali cominciarono a risentire le ingiurie del tempo sul loro convento, senza potervi fare niente per restaurarlo.

Fu così che i Celestini vennero richiamati a Firenze in luogo più consono, lasciando alla natura il destino di quel magico eremo che, in tempi di grande splendore, poteva contare sul supporto economico di oltre trecento ammalati all'anno.

Le strade più frequentate

Due sentieri per i bagni

Volendo raggiungere le antiche terme bisogna prendere il bivio alla destra per Sant'Ippolito lungo la provinciale che da Pomarance porta a Montecerboli. Arrivati al bivio per Le Vignacce, è necessario proseguire a sinistra, scendendo a piedi intorno al poggio, per circa ottocento metri. Durante il per­corso, sulla sinistra, si possono scorgere i resti di una ottocentesca miniera di rame, costituita da una lunga galleria, ora parzialmente allagata, che si perde nella roccia; davanti al­l’imbocco è stata costruita una grossa vasca di decantazione adibita ad abbeveratoio per le pecore.

Le terme sono raggiungibili anche dalla provinciale, senza dover prendere il bivio per Sant'Ippolito; parcheggiando lungo la strada in prossimità del Madonnino dei Gabbri. Da qui un sentiero ripido scende a valle tra i boschi e giunge, in un trascorso di cinquecento metri, al complesso termale con i locali dotati di vasche in pietra per i bagni. La struttura, seppure in precarie condizioni, si mostra integra; è frutto di un ultimo restauro di fine Settecento da parte di De Larderel che ci aveva visto un potenziale economico. Il progetto poi fallì miseramente, ma il restauro ha preservato la sua identità.

Bagni caldi sul fiume Radicagnoli

Quel che rimane delle terme

Il complesso termale si distribuisce su due edifici al limitare del torrente Radicagnoli: da una parte vi erano otto camere con osteria e chiesetta, dall'altra le vasche di acqua sulfurea. I due edifici sono distribuiti letteralmente ai lati del torrente, uniti da un caratteristico ponte coperto a tre archi. Il ponte, ormai inagibile, permetteva di passare dalla taverna alle vasche senza guadare il fiumiciattolo, che ancora oggi è agitato con i suoi salti d'acqua, cascatelle e pozzi profondi.

La parte più interessante dei Bagni di Spartaciano è la meravigliosa piscina custodita segretamente in uno dei piani terra di questi edifici abbandonati. Si tratta di una stanza, un tempo affrescata di blu, con una vasca che ricopre tutto il pavimento ad esclusione di uno stretto cordolo di passaggio disposto lungo le pareti. L'acqua solforosa è molto tiepida, ma un tempo raggiungeva temperature che variavano dai 34° a 51°, con virtù terapeutiche adatte alla cura dei dolori, paralisi, piaghe e malattie della pelle.

A fianco dei Bagni di Spartaciano si intravede una mulattiera in salita, questa, per chi volesse, porta fino al cenobio di San Michele alle Formiche.

Una leggenda del luogo

Il pozzo della campana

Una leggenda legata al convento di San Michele racconta di una campana della chiesa del cenobio, ormai in rovina, staccarsi dal campanile. Rotolando giù per la collina, cadde nel botro dove si trovano le Terme di Spartaciano. La campana non si fermò sul greto, ma seguitò a sprofondare, scavando nella roccia un pozzo profondissimo che poi si riempì d’acqua sulfurea. Pare che dal bordo del pozzo si possano sentire ancora i rintoc­chi della campana che giace sul fondo.

Il fascino della favola è alimentato dal posto veramente suggestivo dove si trova il cosid­detto Pozzo della Campana. Questo è, in effetti, una profonda camera quasi cir­colare dalle pareti di pietra liscia, nel letto del Fosso di San Michele; la sua apertura superiore è quasi nascosta dai fitti arbusti della macchia; l’acqua vi cade da una cascatella alta poco più di tre metri ed è difficile apprezzare a vista quanto la cavità sia pro­fonda. Da una spaccatura longitudinale della roccia verso nord l’acqua decanta poi nel letto basso del torrente che prosegue il suo corso.

> Scopri, Pozzo della Campana