Tra Lanciaia e Palagetto

Nelle campagne di Pomarance

Nelle campagne della Pomarance più remota, quelle vicine al fiume Cecina che delimitano i terreni coltivati dalla oscura foresta di Berignone, vi è la villa di Sant'Ottavia, abbandonata da tempo con un passato borderline tra la realtà e la finzione. La si raggiunge procedendo lungo la strada comunale di Lanciaia, la quale, dopo un interminabile dirittone interseca uno sterrato con la sua naturale direzione verso la strada comunale di Palagetto. A mezzo tra le due arterie comunali, una deviazione invita a raggiungere la villa posta su una collina dominante.

Alle pendici di questa collina un cancello sbilenco si erige a unico avamposto a protezione della proprietà privata, dalla quale, per il rispetto del luogo, è preferibile proseguire a piedi. Il tragitto si presenta semplice e lineare, ma non potremmo essere dello stesso avviso sul suo aspetto che a dimostrazione del vero si sgancia dall'immaginario classico della Toscana dai viali con i cipressi, per preferire degli inusuali ed esotici filari di pini domestici.

Le avventure all'interno di dimore fatiscenti

Benvenuti all'inferno

La villa Sant'Ottavia, su particolari scorci, si mostra in tutta la sua imponenza già in lontananza, ma la flora che, tutto intorno si è fatta florida e verdeggiante dopo anni di incuria, ne oscura gran parte della costruzione. Tuttavia, raggiunta la meta, quel che ci attende non è altro che un edificio fatiscente, deturpato da numerosi atti vandalici che sono intercorsi nell'arco di un mezzo secolo. La sua integrità vacilla, ma, sebbene agonizzante tra i propri calcinacci, tetti sfondati e pavimenti precari, il rudere riesce ancora a tenere testa al dominio assoluto della gravità.

Dinanzi a tale scenario, il silenzio romantico delle incantevoli campagne assolate cambia bruscamente in un vivido sentimento di solitudine permeato da uno strano disagio di essere dove non si dovrebbe stare. Se quel "Benvenuti all'inferno" scritto in vernice rossa su uno dei portali dell'ingresso tiene vivo uno strano fastidio interiore, la negatività si consolida via via che ci si addentra nella villa sbranata dal tempo, dalla bramosia e dal dispregio degli uomini.

In pieno stile liberty

Villa dei Germiny

Gli inquietanti graffiti abbarbicati impuniti sulle pareti interne della villa sono figli di una delle mode più involutive a cavallo del terzo millennio e non rendono merito all'edificio che era: un gioiello architettonico edificato agli inizi del Novecento in un innovativo stile Liberty, precursore dell'arte contemporanea sconosciuta ai più nell'Italia di allora, ma che di lì a poco divenne espressione iconica della nuova borghesia in ascesa. Il suo gusto per le forme naturali e le decorazioni sinuose sposava questo spicchio della Toscana, in un amalgama unico da destare curiosità anche dalle città più lontane.

La villa venne costruita dai Germiny; una famiglia francese d'alta borghesia che, assieme ai conti D'Aulan e De Larderel, si trasferì nell'alta Valdicecina per aderire all'ambizioso progetto promosso dal Principe Ginori Conti, riguardante una presunta società boracifera di Larderello, rivelatasi poi la migliore prospettiva lavorativa del territorio per molti decenni a venire. Se pensiamo alla Francia dalla quale queste famiglie provenivano non stupiscono le volontà di abitare la Toscana importando i propri stili di patria, dove l'art nouveau imperava su tutte le cose già dalla fine dell'Ottocento.

Una scommessa andata male

La ferrovia elettrica mai nata

I benestanti, allora come ora, ambivano alla vita bucolica della Toscana ricca di bellezze artistiche e paesaggistiche, ma ciò non giustifica a pieno la costruzione di una villa nel bel mezzo del nulla, a dieci chilometri di distanza dal primo e chiaro segnale di civiltà. Di primo acchito sembra essere stata una scelta azzardata frutto di qualche mania di borioso egocentrismo, in realtà riponeva assoluta fiducia sulla realizzazione di una vicina ferrovia elettrica che avrebbe dovuto tagliare la piana del fiume Cecina per raggiungere la località di Ponte Sospeso di Larderello.

Un ramo ferroviario, finanziato dai De Larderel, che doveva collegare questa zona alla tratta strategica della Cecina - Saline di Volterra, per il trasporto dell'acido borico e per una mobilità ad uso civile, di cui improvvisamente non se ne fece più niente. Il conflitto mondiale del quindici-diciotto ridimensionarono le mire espansionistiche del territorio, trasformando una importante scommessa in un infruttuoso isolamento.

Proprietà dei Bianchini di Firenze

Ottavia, l'ultima discendente

Quando venne acquistata dalla famiglia Bianchini di Firenze, la villa prese il nome dell'ultima antenata della famiglia Germiny: Ottavia. I Bianchini fecero di Sant'Ottavia la villa patronale di una tenuta agricola ben più ampia che annetteva ad essa numerosi poderi del circondario tra cui S. Bianca, S. Arturo, La Selva, S. Antonio e tutti i terreni nella piana del fiume Cecina. L'attività si protrasse ininterrottamente fino alla fine degli anni Settanta del Novecento, anche quando nella seconda guerra mondiale, la villa divenne base militare della Marina, per la gestione della vicina polveriera del Cecina.

Il declino sopraggiunse con lo spopolamento delle campagne, un fenomeno che colpì duramente tutta la Valdicecina portando numerose famiglie a trasferirsi altrove. I Bianchini ad esempio si stabilirono di nuovo a Firenze, lasciando la villa nel completo abbandono. Da allora nessuno si è più preoccupato di dare dignità al luogo; depauperato di tutto l'originario arredamento della famiglia Germiny, che fino all'inverosimile aveva mantenuto fedele il suo posto per oltre settant'anni, oggi la villa giunge ai suoi capitoli finali prima del completo oblio.

Dalla cappella al salone delle feste

Gli interni di Sant'Ottavia

La villa si dispone su due piani; al piano terra trovavano luogo l'officina, le cantine e gli accessi ai sotterranei dove venivano accatastati i raccolti agricoli e riposti i numerosi utensili da lavoro per i campi. A fianco, su lato esterno, sorgeva una piccola cappella famigliare privata, dominata da un campanile a vela. La cappella veniva aperta ai contadini dei dintorni al passaggio di una immagine sacra di una madonna itinerante proveniente dalla chiesina di Lanciaia, usanza tipica dei luoghi rurali nei quali la benedizione del raccolto si faceva podere per podere.

Gli interni godevano di pavimenti in marmo a scacchi, meravigliosi soffitti a volta e ampi saloni. E quindi, le cucine, le camere, i bagni e un enorme salotto destinato alle feste e alle serate di gala. Quest'ultimo in particolare era dotato di un palcoscenico in legno di dimensioni ben proporzionate per le rappresentazioni teatrali o piccole pièces come le sciarade, i quadri viventi, i proverbi, secondo la grande tradizione francese delle feste aristocratiche dalla quale i borghesi Germiny avevano attinto a piene mani.

Tra le leggende e le superstizioni

La strega suicida

Tradizione vuole che l'ultima inquilina della Villa Sant'Ottavia vivesse da sola; una villa troppo grande per una persona anziana e troppo lontana per integrarsi con paesi più vicini. Pur disponendo di un ricchezza materiale da fare invidia a gran parte del circondario, il popolino non si capacitava di come potesse sopperire alla solitudine del suo animo, senza alcun contatto esterno. Le voci tra lo scherzo e lo scherno cominciarono a insinuare che fosse una signora svampita, una strega solitaria, bisbetica e poco raccomandabile.

L'immaginario più pagano aveva preso il sopravvento, il suo profilo era stato erroneamente delineato e niente valse per dimostrare il contrario. Persino i contadini più prossimi, fortemente suggestionati dalle dicerie, si guardavano dal camminare nelle sue vicinanze. Spinta ad un recesso obbligato, la signora cadde in una inguaribile e incontenibile depressione, capitolando nel gesto tragico dell'impiccagione per porre fine alle sue sofferenze.

Il ricamino della maledicenza

La villa stregata di Pomarance

Oggi della grande dimora non restano che i ruderi; porzioni di colonne, di pareti e di mura barcollanti avvolti dalla vegetazione, ma in ricordo di quel tragico suicidio, si preserva contro ogni previsione il cappio assassino, pendente al centro del soffitto di una spaziosa camera matrimoniale; una scena alla quale non si rimane indifferenti, alimentando uno stato di inquietudine che pervade tutto il corpo. Una immagine che difficilmente si dimentica e, anzi, disturba la visita di cortesia, qualunque essa sia.

Il ricamino della maledicenza può essere irrispettoso anche dinanzi ai morti: una curiosa legge del contrappasso ha portato a sostenere che la signora, anziché passare a miglior vita, si sia ritrovata imprigionata all'interno della sua stessa dimora dalla quale voleva sfuggire. Una leggenda nella leggenda che alimenta per forza di cose suggestioni che non esistono: passi ovattati, improvvisi frulli d'ali e agghiaccianti venti catabatici al punto da far pensare che questa villa sia stregata. Una storia suggestiva e misteriosa che sta affascinando numerosi esploratori dell'occulto.

Tra Lanciaia e Palagetto

Nelle campagne di Pomarance

Nelle campagne della Pomarance più remota, quelle vicine al fiume Cecina che delimitano i terreni coltivati dalla oscura foresta di Berignone, vi è la villa di Sant'Ottavia, abbandonata da tempo con un passato borderline tra la realtà e la finzione. La si raggiunge procedendo lungo la strada comunale di Lanciaia, la quale, dopo un interminabile dirittone interseca uno sterrato con la sua naturale direzione verso la strada comunale di Palagetto. A mezzo tra le due arterie comunali, una deviazione invita a raggiungere la villa posta su una collina dominante.

Alle pendici di questa collina un cancello sbilenco si erige a unico avamposto a protezione della proprietà privata, dalla quale, per il rispetto del luogo, è preferibile proseguire a piedi. Il tragitto si presenta semplice e lineare, ma non potremmo essere dello stesso avviso sul suo aspetto che a dimostrazione del vero si sgancia dall'immaginario classico della Toscana dai viali con i cipressi, per preferire degli inusuali ed esotici filari di pini domestici.

Le avventure all'interno di dimore fatiscenti

Benvenuti all'inferno

La villa Sant'Ottavia, su particolari scorci, si mostra in tutta la sua imponenza già in lontananza, ma la flora che, tutto intorno si è fatta florida e verdeggiante dopo anni di incuria, ne oscura gran parte della costruzione. Tuttavia, raggiunta la meta, quel che ci attende non è altro che un edificio fatiscente, deturpato da numerosi atti vandalici che sono intercorsi nell'arco di un mezzo secolo. La sua integrità vacilla, ma, sebbene agonizzante tra i propri calcinacci, tetti sfondati e pavimenti precari, il rudere riesce ancora a tenere testa al dominio assoluto della gravità.

Dinanzi a tale scenario, il silenzio romantico delle incantevoli campagne assolate cambia bruscamente in un vivido sentimento di solitudine permeato da uno strano disagio di essere dove non si dovrebbe stare. Se quel "Benvenuti all'inferno" scritto in vernice rossa su uno dei portali dell'ingresso tiene vivo uno strano fastidio interiore, la negatività si consolida via via che ci si addentra nella villa sbranata dal tempo, dalla bramosia e dal dispregio degli uomini.

In pieno stile liberty

Villa dei Germiny

Gli inquietanti graffiti abbarbicati impuniti sulle pareti interne della villa sono figli di una delle mode più involutive a cavallo del terzo millennio e non rendono merito all'edificio che era: un gioiello architettonico edificato agli inizi del Novecento in un innovativo stile Liberty, precursore dell'arte contemporanea sconosciuta ai più nell'Italia di allora, ma che di lì a poco divenne espressione iconica della nuova borghesia in ascesa. Il suo gusto per le forme naturali e le decorazioni sinuose sposava questo spicchio della Toscana, in un amalgama unico da destare curiosità anche dalle città più lontane.

La villa venne costruita dai Germiny; una famiglia francese d'alta borghesia che, assieme ai conti D'Aulan e De Larderel, si trasferì nell'alta Valdicecina per aderire all'ambizioso progetto promosso dal Principe Ginori Conti, riguardante una presunta società boracifera di Larderello, rivelatasi poi la migliore prospettiva lavorativa del territorio per molti decenni a venire. Se pensiamo alla Francia dalla quale queste famiglie provenivano non stupiscono le volontà di abitare la Toscana importando i propri stili di patria, dove l'art nouveau imperava su tutte le cose già dalla fine dell'Ottocento.

Una scommessa andata male

La ferrovia elettrica mai nata

I benestanti, allora come ora, ambivano alla vita bucolica della Toscana ricca di bellezze artistiche e paesaggistiche, ma ciò non giustifica a pieno la costruzione di una villa nel bel mezzo del nulla, a dieci chilometri di distanza dal primo e chiaro segnale di civiltà. Di primo acchito sembra essere stata una scelta azzardata frutto di qualche mania di borioso egocentrismo, in realtà riponeva assoluta fiducia sulla realizzazione di una vicina ferrovia elettrica che avrebbe dovuto tagliare la piana del fiume Cecina per raggiungere la località di Ponte Sospeso di Larderello.

Un ramo ferroviario, finanziato dai De Larderel, che doveva collegare questa zona alla tratta strategica della Cecina - Saline di Volterra, per il trasporto dell'acido borico e per una mobilità ad uso civile, di cui improvvisamente non se ne fece più niente. Il conflitto mondiale del quindici-diciotto ridimensionarono le mire espansionistiche del territorio, trasformando una importante scommessa in un infruttuoso isolamento.

Proprietà dei Bianchini di Firenze

Ottavia, l'ultima discendente

Quando venne acquistata dalla famiglia Bianchini di Firenze, la villa prese il nome dell'ultima antenata della famiglia Germiny: Ottavia. I Bianchini fecero di Sant'Ottavia la villa patronale di una tenuta agricola ben più ampia che annetteva ad essa numerosi poderi del circondario tra cui S. Bianca, S. Arturo, La Selva, S. Antonio e tutti i terreni nella piana del fiume Cecina. L'attività si protrasse ininterrottamente fino alla fine degli anni Settanta del Novecento, anche quando nella seconda guerra mondiale, la villa divenne base militare della Marina, per la gestione della vicina polveriera del Cecina.

Il declino sopraggiunse con lo spopolamento delle campagne, un fenomeno che colpì duramente tutta la Valdicecina portando numerose famiglie a trasferirsi altrove. I Bianchini ad esempio si stabilirono di nuovo a Firenze, lasciando la villa nel completo abbandono. Da allora nessuno si è più preoccupato di dare dignità al luogo; depauperato di tutto l'originario arredamento della famiglia Germiny, che fino all'inverosimile aveva mantenuto fedele il suo posto per oltre settant'anni, oggi la villa giunge ai suoi capitoli finali prima del completo oblio.

Dalla cappella al salone delle feste

Gli interni di Sant'Ottavia

La villa si dispone su due piani; al piano terra trovavano luogo l'officina, le cantine e gli accessi ai sotterranei dove venivano accatastati i raccolti agricoli e riposti i numerosi utensili da lavoro per i campi. A fianco, su lato esterno, sorgeva una piccola cappella famigliare privata, dominata da un campanile a vela. La cappella veniva aperta ai contadini dei dintorni al passaggio di una immagine sacra di una madonna itinerante proveniente dalla chiesina di Lanciaia, usanza tipica dei luoghi rurali nei quali la benedizione del raccolto si faceva podere per podere.

Gli interni godevano di pavimenti in marmo a scacchi, meravigliosi soffitti a volta e ampi saloni. E quindi, le cucine, le camere, i bagni e un enorme salotto destinato alle feste e alle serate di gala. Quest'ultimo in particolare era dotato di un palcoscenico in legno di dimensioni ben proporzionate per le rappresentazioni teatrali o piccole pièces come le sciarade, i quadri viventi, i proverbi, secondo la grande tradizione francese delle feste aristocratiche dalla quale i borghesi Germiny avevano attinto a piene mani.

Tra le leggende e le superstizioni

La strega suicida

Tradizione vuole che l'ultima inquilina della Villa Sant'Ottavia vivesse da sola; una villa troppo grande per una persona anziana e troppo lontana per integrarsi con paesi più vicini. Pur disponendo di un ricchezza materiale da fare invidia a gran parte del circondario, il popolino non si capacitava di come potesse sopperire alla solitudine del suo animo, senza alcun contatto esterno. Le voci tra lo scherzo e lo scherno cominciarono a insinuare che fosse una signora svampita, una strega solitaria, bisbetica e poco raccomandabile.

L'immaginario più pagano aveva preso il sopravvento, il suo profilo era stato erroneamente delineato e niente valse per dimostrare il contrario. Persino i contadini più prossimi, fortemente suggestionati dalle dicerie, si guardavano dal camminare nelle sue vicinanze. Spinta ad un recesso obbligato, la signora cadde in una inguaribile e incontenibile depressione, capitolando nel gesto tragico dell'impiccagione per porre fine alle sue sofferenze.

Il ricamino della maledicenza

La villa stregata di Pomarance

Oggi della grande dimora non restano che i ruderi; porzioni di colonne, di pareti e di mura barcollanti avvolti dalla vegetazione, ma in ricordo di quel tragico suicidio, si preserva contro ogni previsione il cappio assassino, pendente al centro del soffitto di una spaziosa camera matrimoniale; una scena alla quale non si rimane indifferenti, alimentando uno stato di inquietudine che pervade tutto il corpo. Una immagine che difficilmente si dimentica e, anzi, disturba la visita di cortesia, qualunque essa sia.

Il ricamino della maledicenza può essere irrispettoso anche dinanzi ai morti: una curiosa legge del contrappasso ha portato a sostenere che la signora, anziché passare a miglior vita, si sia ritrovata imprigionata all'interno della sua stessa dimora dalla quale voleva sfuggire. Una leggenda nella leggenda che alimenta per forza di cose suggestioni che non esistono: passi ovattati, improvvisi frulli d'ali e agghiaccianti venti catabatici al punto da far pensare che questa villa sia stregata. Una storia suggestiva e misteriosa che sta affascinando numerosi esploratori dell'occulto.

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