Nell’incrociata tra Via Borgo Nuovo e Via San Lino, si sviluppa il grande complesso monastico di San Dalmazio. Un tempo formato dalla chiesa e dal convento, trasformato, in epoche successive in scuola e poi in abitazioni; la struttura venne edificata agli inizi del Cinquecento, come testimoniano il portale d’ingresso della chiesa e quello ogivale in pietra del convento.
Incluso tra le mura medievali, l’ex monastero di San Dalmazio è tra i complessi conventuali volterrani compresi in un sistema chiuso, voluto e costruito appositamente per preservare intatta la integrità delle ospiti dell’edificio. La struttura, oltre alla chiesa e al convento, presenta gli orti e, lungo la Via di Borgo Nuovo, si apre un varco che immette nel pregevole chiostro con il bel loggiato dalle colonne e i capitelli in pietra arenaria.
Accanto al chiostro, e facente parte dell’intero complesso, ora di proprietà della famiglia Inghirami, un vecchio frantoio i cui spazi più antichi nascondono volte a botte lunettate. L’intero complesso di proprietà della famiglia Inghirami, appartenne alle religiose della regola di San Benedetto.
La chiesa di San Dalmazio è l'ultimo sito storico emblema di una lunga storia travagliata delle monache benedettine, che partite dal borgo di San Dalmazio si videro costrette a trasferirsi a Volterra per cause di forza maggiore. La chiesa, non sempre è aperta al pubblico, ma se si ha l'occasione di visitarla si rimane stupiti dalla sua bellezza.
Venne edificata agli inizi del Cinquecento, come testimoniano il portale d’ingresso e quello ogivale in pietra del convento. Per i volterrani la chiesa di San Dalmazio è la cosiddetta “Chiesa del briaco”. Il significato è presto detto: in base ad una disposizione testamentaria di un membro della famiglia Inghirami, nel giorno della scomparsa del committente veniva usualmente e annualmente celebrata una messa di suffragio. La funzione, che si svolgeva la mattina molto presto, finì con raccogliere sempre meno persone e soprattutto uomini che, avendo abbondantemente bevuto durante la notte, prima di ritornare a casa, si fermavano in chiesa.
La volta della cappella principale, fu affrescata, agli inizi del Settecento, da Ranieri Del Pace. Pittore pisano, dalla critica ricordato come un potenziale brillante autore in rococò del primo Settecento fiorentino, fu chiamato a Volterra dalle suore di San Dalmazio che decisero di ristrutturare la chiesa per renderla più maestosa e bella. Ranieri accettò di buon grado, ma la sua bravura e dedizione all’opera commissionata fu turbata e, alla fine offuscata, dalla tremenda gelosia che lo assillava.
Causa la moglie, una certa de’ Cecchi, bella e di buoni costumi, che per la mania del marito, era costretta ad essere segregata in casa, rinchiusa dentro un armadio. Geloso anche delle suore, il Ranieri trascinò la moglie nella chiesa, dove, sotto l’occhio attento del marito, arrampicata sulle impalcature, seguiva l’opera pittorica. La vigilanza di Ranieri, però, non fu così accorta da evitare gli sguardi, dal basso, dei lavoranti e aiutanti del primo pittore, tanto che le religiose, per far tacere le inopportune chiacchiere e dicerie, sollecitarono Ranieri ad affrettarsi nella conclusione dell’opera che “non passò la mediocrità”.
Se la chiesa di Volterra sta al capitolo finale di questa storia cenobitica, la chiesa parrocchiale di San Dalmazio sta all'incipit di quel che rimane del cenobio originario delle monache. Oggi quel monastero non è più in funzione, ma lo si può vedere lungo la strada che porta al piccolo borgo, in una traversa laterale, marcato da un campanile di modeste dimensioni. I fondi sono proprietà della diocesi di Volterra, normalmente chiusi al pubblico ad eccezione della sua chiesa annessa.
La chiesa in origine doveva essere tri-absidata, ma oggi la vediamo terminare con una scarsella quadrangolare di epoca più moderna. L'interno si estende su un'unica navata attraversata da transetto; le monofore alla sommità dei fianchi sono antiche, ma le aperture in facciata sono di epoca moderna, così come il campanile sul fianco sinistro, di maestranza ottocentesca. Nella chiesa si trova un prezioso tabernacolo di terracotta indurita a guisa di vetro e rivestita con smalti colorati, opera questa della bottega di Luca della Robbia, collocatavi dalle monache del Monastero di Abigaille dopo un saccheggio avvenuto nel Quattrocento.
> Scopri, Monastero di Abigaille
Nell’incrociata tra Via Borgo Nuovo e Via San Lino, si sviluppa il grande complesso monastico di San Dalmazio. Un tempo formato dalla chiesa e dal convento, trasformato, in epoche successive in scuola e poi in abitazioni; la struttura venne edificata agli inizi del Cinquecento, come testimoniano il portale d’ingresso della chiesa e quello ogivale in pietra del convento.
Incluso tra le mura medievali, l’ex monastero di San Dalmazio è tra i complessi conventuali volterrani compresi in un sistema chiuso, voluto e costruito appositamente per preservare intatta la integrità delle ospiti dell’edificio. La struttura, oltre alla chiesa e al convento, presenta gli orti e, lungo la Via di Borgo Nuovo, si apre un varco che immette nel pregevole chiostro con il bel loggiato dalle colonne e i capitelli in pietra arenaria.
Accanto al chiostro, e facente parte dell’intero complesso, ora di proprietà della famiglia Inghirami, un vecchio frantoio i cui spazi più antichi nascondono volte a botte lunettate. L’intero complesso di proprietà della famiglia Inghirami, appartenne alle religiose della regola di San Benedetto.
La chiesa di San Dalmazio è l'ultimo sito storico emblema di una lunga storia travagliata delle monache benedettine, che partite dal borgo di San Dalmazio si videro costrette a trasferirsi a Volterra per cause di forza maggiore. La chiesa, non sempre è aperta al pubblico, ma se si ha l'occasione di visitarla si rimane stupiti dalla sua bellezza.
Venne edificata agli inizi del Cinquecento, come testimoniano il portale d’ingresso e quello ogivale in pietra del convento. Per i volterrani la chiesa di San Dalmazio è la cosiddetta “Chiesa del briaco”. Il significato è presto detto: in base ad una disposizione testamentaria di un membro della famiglia Inghirami, nel giorno della scomparsa del committente veniva usualmente e annualmente celebrata una messa di suffragio. La funzione, che si svolgeva la mattina molto presto, finì con raccogliere sempre meno persone e soprattutto uomini che, avendo abbondantemente bevuto durante la notte, prima di ritornare a casa, si fermavano in chiesa.
La volta della cappella principale, fu affrescata, agli inizi del Settecento, da Ranieri Del Pace. Pittore pisano, dalla critica ricordato come un potenziale brillante autore in rococò del primo Settecento fiorentino, fu chiamato a Volterra dalle suore di San Dalmazio che decisero di ristrutturare la chiesa per renderla più maestosa e bella. Ranieri accettò di buon grado, ma la sua bravura e dedizione all’opera commissionata fu turbata e, alla fine offuscata, dalla tremenda gelosia che lo assillava.
Causa la moglie, una certa de’ Cecchi, bella e di buoni costumi, che per la mania del marito, era costretta ad essere segregata in casa, rinchiusa dentro un armadio. Geloso anche delle suore, il Ranieri trascinò la moglie nella chiesa, dove, sotto l’occhio attento del marito, arrampicata sulle impalcature, seguiva l’opera pittorica. La vigilanza di Ranieri, però, non fu così accorta da evitare gli sguardi, dal basso, dei lavoranti e aiutanti del primo pittore, tanto che le religiose, per far tacere le inopportune chiacchiere e dicerie, sollecitarono Ranieri ad affrettarsi nella conclusione dell’opera che “non passò la mediocrità”.
Se la chiesa di Volterra sta al capitolo finale di questa storia cenobitica, la chiesa parrocchiale di San Dalmazio sta all'incipit di quel che rimane del cenobio originario delle monache. Oggi quel monastero non è più in funzione, ma lo si può vedere lungo la strada che porta al piccolo borgo, in una traversa laterale, marcato da un campanile di modeste dimensioni. I fondi sono proprietà della diocesi di Volterra, normalmente chiusi al pubblico ad eccezione della sua chiesa annessa.
La chiesa in origine doveva essere tri-absidata, ma oggi la vediamo terminare con una scarsella quadrangolare di epoca più moderna. L'interno si estende su un'unica navata attraversata da transetto; le monofore alla sommità dei fianchi sono antiche, ma le aperture in facciata sono di epoca moderna, così come il campanile sul fianco sinistro, di maestranza ottocentesca. Nella chiesa si trova un prezioso tabernacolo di terracotta indurita a guisa di vetro e rivestita con smalti colorati, opera questa della bottega di Luca della Robbia, collocatavi dalle monache del Monastero di Abigaille dopo un saccheggio avvenuto nel Quattrocento.
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Dicembre 14, 2024 20:24 local time