Le fonti volterrane, da Mandringa a San Felice, passando da Docciola, sono ovviamente interessanti più per il loro valore storico che funzionale: santa lavatrice! Da qui sono passati generazioni e generazioni di volterrani; ad immaginarseli, con il mulo, con i ciottoli e con i panni, sembra di vederli ancora.
La Fonte di Mandringa si trova lungo la Via Pisana, oltre il guard rail, quasi a ridosso della deviazione che porta su per Via di Mandringa. Passandoci con l’auto difficilmente si nota: il sito storico si inabissa sotto il livello della strada. Per raggiungerla è necessario sostare al parcheggio sopra le Balze, per poi intraprendere la discesa sul ciglio della strada, stando attenti al suo veloce traffico. Superato il Masso di Mandringa la raggiungete facilmente passando da un’apertura laterale, marcata da brevi scalette. Ai suoi piedi, sotto l’arco duecentesco, sgorga da sempre un’acqua limpida e pura, ritenuta in ogni tempo la migliore della città.
Questa fonte, in passato, ha avuto un ruolo sociale importante: di giorno era luogo di ritrovo delle lavandaie, di notte era ritrovo di streghe.
La fonte di Mandringa, di modeste dimensioni, è coperta da un unico arco in pietra. Il getto delle acque si versa in un piccolo bacino poco profondo, ad altezza della pavimentazione. Gran parte dell'ambiente ricavato sotto l'arco è stato occupato in tempi recenti da un vano che protegge un deposito alimentato dalla sorgente.
In tempi passati la fonte era chiamata Grimaldinga, toponimo di origine germanica. In altri contesti venne chiamata anche fonte di Pratomarzio, confondendola con quella della Frana. L'arco è databile probabilmente alla metà del Duecento, anno in cui il consiglio cittadino ordinò agli uomini della contrada di Pratomarzio, sotto la cui giurisdizione si trovava la sorgente, di lavorare alla copertura della fontana che veniva pagata interamente dal comune. Alla fine del secolo invece Rimbaldo Cancellari fu pagato con tre lire per la costruzione dell'abbeveratoio a spese del Comune di Volterra, ma di questo non rimane più traccia.
"Il selvaggio masso di Mandringa dominava la via.
Ardo dalla sete. Lasciami bere. Bevi anche tu un sorso d’acqua.
La fonte pullulava sotto un arco chiomato di caprifogli e di pruni".
Così Gabriele D’Annunzio scriveva nel suo “Forse che sì forse che no”. Il vate, in questo suo romanzo volterrano, lo descrive mentre moltissime donne del borgo si affaccendano con le mezzine nella raccolta dell’acqua.
E ancora dal suo romanzo possiamo estrapolare un altro commento:
"Chi sciacqua le lenzuola
alla Docciola,
convien che l’acqua attinga
alla Mandringa"
Le fonti volterrane, da Mandringa a San Felice, passando da Docciola, sono ovviamente interessanti più per il loro valore storico che funzionale: santa lavatrice! Da qui sono passati generazioni e generazioni di volterrani; ad immaginarseli, con il mulo, con i ciottoli e con i panni, sembra di vederli ancora.
La Fonte di Mandringa si trova lungo la Via Pisana, oltre il guard rail, quasi a ridosso della deviazione che porta su per Via di Mandringa. Passandoci con l’auto difficilmente si nota: il sito storico si inabissa sotto il livello della strada. Per raggiungerla è necessario sostare al parcheggio sopra le Balze, per poi intraprendere la discesa sul ciglio della strada, stando attenti al suo veloce traffico. Superato il Masso di Mandringa la raggiungete facilmente passando da un’apertura laterale, marcata da brevi scalette. Ai suoi piedi, sotto l’arco duecentesco, sgorga da sempre un’acqua limpida e pura, ritenuta in ogni tempo la migliore della città.
Questa fonte, in passato, ha avuto un ruolo sociale importante: di giorno era luogo di ritrovo delle lavandaie, di notte era ritrovo di streghe.
La fonte di Mandringa, di modeste dimensioni, è coperta da un unico arco in pietra. Il getto delle acque si versa in un piccolo bacino poco profondo, ad altezza della pavimentazione. Gran parte dell'ambiente ricavato sotto l'arco è stato occupato in tempi recenti da un vano che protegge un deposito alimentato dalla sorgente.
In tempi passati la fonte era chiamata Grimaldinga, toponimo di origine germanica. In altri contesti venne chiamata anche fonte di Pratomarzio, confondendola con quella della Frana. L'arco è databile probabilmente alla metà del Duecento, anno in cui il consiglio cittadino ordinò agli uomini della contrada di Pratomarzio, sotto la cui giurisdizione si trovava la sorgente, di lavorare alla copertura della fontana che veniva pagata interamente dal comune. Alla fine del secolo invece Rimbaldo Cancellari fu pagato con tre lire per la costruzione dell'abbeveratoio a spese del Comune di Volterra, ma di questo non rimane più traccia.
"Il selvaggio masso di Mandringa dominava la via.
Ardo dalla sete. Lasciami bere. Bevi anche tu un sorso d’acqua.
La fonte pullulava sotto un arco chiomato di caprifogli e di pruni".
Così Gabriele D’Annunzio scriveva nel suo “Forse che sì forse che no”. Il vate, in questo suo romanzo volterrano, lo descrive mentre moltissime donne del borgo si affaccendano con le mezzine nella raccolta dell’acqua.
E ancora dal suo romanzo possiamo estrapolare un altro commento:
"Chi sciacqua le lenzuola
alla Docciola,
convien che l’acqua attinga
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Dicembre 14, 2024 18:25 local time