La costruzione di questo edificio fu iniziata negli ultimi anni del Cinquecento da Attilio Incontri, nobile volterrano e genero del segretario del Granduca «per comodità della propria famiglia et ornamento della città», come si leggeva inciso nella cornice del primo piano. Il disegno della facciata è ormai concordemente attribuito a Bartolomeo Ammannati, mentre per la progettazione degli interni è probabile che sia da ritenersi artefice lo stesso Attilio in quanto egli era un architetto dilettante.
Dal lato artistico la facciata del Palazzo Viti presenta un interesse notevole rappresentando, con pochi altri esempi, l’epoca di transizione fra il rinascimento e il barocco; anticipa infatti molti elementi del secondo con la ricchezza e la grandiosità dei bugnati senza però perdere la plastica armonia degli edifici rinascimentali. E’ infine un vanto della famiglia Viti aver mantenuto immutato, per oltre cento anni, le sale di rappresentanza del palazzo che forniscono ora un esempio raro dell’arredamento e dello stile ottocentesco.
Il palazzo che per tutti gli effetti è reputato abitazione da gran signore, sorse nell’attuale via Sarti, inglobando costruzioni precedenti le cui strutture sono ancora in parte visibili.
L’edificio attuale presenta un fronte sulla strada con uno sviluppo di circa quaranta metri e una profondità di quasi sedici metri, mentre il progetto originale prevedeva che il corpo principale fosse integrato da due ali posteriori fiancheggianti un grandioso cortile porticato. Il trasferimento di Attilio a Firenze avvenuto nel Seicento, interruppe la costruzione del palazzo che rimase limitato al solo corpo principale, un’ala e la facciata.
La costruzione dell’altra ala e del cortile vennero ripresi quarant'anni più tardi da Ferdinando e Ludovico Incontri, figli di Attilio su progetto di Alfonso Parigi. Il cortile non fu però mai portato a termine in quanto non vennero più costruiti i due loggiati delle ali restando compiuto solamente quello del principale i cui resti, ancora visibili, furono racchiusi nelle mura del Teatro Persio Flacco.
Agli inizi dell'Ottocento la famiglia Incontri vendette all’Accademia dei Riuniti il cortile e parte del piano terra del palazzo. l’Accademia costruì in brevissimo tempo, entro i limiti del cortile stesso, l’attuale Teatro Persio Flacco su progetto dell’architetto Luigi Campani. Purtroppo l’attuazione di tale edificio comportò la demolizione della unica parte di loggiato esistente. Benedetto Giuseppe Viti, commerciante e viaggiatore dell’alabastro, comprò il palazzo nella metà dell'Ottocento provvedendo ad un radicale restauro della facciata e adattando nella stessa l’attuale ingresso contrassegnato dal numero civico 41.
La decorazione degli interni venne completamente rifatta per la visita di Vittorio Emanuele II che dimorò nel palazzo per un paio di giorni ed anche l’arredamento fu rinnovato secondo i gusti e lo stile dell’epoca integrandolo con una collezione di oggetti d’alabastro provenienti dalla Fabbrica Viti, collezione che è praticamente unica nel suo genere.
Lo scalone di accesso è arricchito da notevoli sculture in legno, marmo, pietra arenaria e alabastro tutte effettuate dalla fabbrica Viti; di particolare rilievo sono i grandi vasi monoliti. Le pareti decorate a ‘finto marmo’ sono impreziosite da stemmi che appartengono a famiglie imparentate con i Viti.
All'ingresso, come in tutte le altre sale del palazzo, le pareti sono pitturate a mano mediante stampi di carta traforati attraverso i quali veniva impresso il colore della decorazione. La consolle d’epoca di metà Ottocento con il piano in marmo qui presente ha la base in alabastro e venne eseguita insieme ad altri oggetti per Massimiliano d’Asburgo imperatore del Messico. In seguito alla fucilazione di Massimiliano avvenuta a Quarentaro gli oggetti non vennero spediti ed il mancato pagamento dell’ordinazione causò il dissesto di varie ditte di alabastro dell’epoca. Sopra la consolle grande specchiera del Settecento in noce, dorata con ai lati diciannove antiche miniature indiane su avorio, carta e una su legno; nella parete di fronte due ritratti di donna di scuola lombarda dell’Ottocento.
Agli angoli i due famosi e monumentali candelabri dell’imperatore Massimiliano, tutti in alabastro, mirabilmente lavorati rappresentano una tappa storica dell’artigianato alabastrino. Anch’essi rimasero invenduti per via della sua morte. Vi furono impiegate quasi tutte le varietà della pietra usata a Volterra, quali lo scaglione, il bardiglio, l’agata e la pietra a marmo. All’interno dei bulbi erano sistemati dei lumi a petrolio. Gli altri candelabri e colonne in alabastro sono anche essi della fabbrica Viti e risalgono alla prima metà dell’Ottocento.
Alle pareti quattro consolle con piano di marmo con i divani tipici delle sale da ballo, al centro splendido tavolo a mosaico in alabastro indurito e colorato eseguito dalla fabbrica Viti nella prima metà dell’Ottocento. Il mosaico in alabastro era considerato forse superiore ai mosaici fiorentini in pietre dure per la perfezione degli intagli, la delicatezza e la gradazione dei colori. Questa è la sala più grande di tutto il palazzo.
Emiro del Nepal
La sala da ballo ha molti dettagli. I quadri entrando da sinistra a destra, rappresentano Benedetto Giuseppe Viti viaggiatore dell’alabastro, opera di Antonio Puccinelli con cornice in legno e mosaico d’alabastro. Questo personaggio che esportò l’alabastro in tutto il mondo, dalle Americhe all’Africa e in India divenne amico del raja di Lucknow che lo nominò Visir ed Emiro del Nepal.
Tutti gli oggetti cinesi ed indiani che si trovano nel palazzo furono portali da lui e parte delle sue lettere vennero pubblicate con un commento di Corrado Alvaro, sulla nuova Antologia pubblicata negli anni Trenta del secolo scorso. Più oltre, il ritratto di Francesco Amerigo Viti, anch’esso opera di Puccinelli in uniforme di capitano della Guardia Nazionale. Di fronte ritratto del generale Josè Antonio de Santa Cruz presidente dell’Equador eseguito da un pittore sudamericano, e infine il quadro di Niccolò Viti.
Il pavimento del salone, dall’originale disegno ha le tessere bianche in alabastro indurito; molto belli i tre lampadari in vetro di Murano.
La sala più intima, dove è possibile conoscere le fisionomie dei proprietari di questa dimora, è quella da pranzo. Alle pareti quadri di antenati della famiglia e splendida collezione di disegni cinesi del Settecento e dell'Ottocento su carta di riso. Nella nicchia busto di marmo di Vito Maria Viti opera di scultore volterrano. Il mobilio comprendente due consolles, due tavoli con il piano in alabastro indurito e grande tavolo di mogano di fattura inglese, risale alla metà del secolo scorso. Molto bella la decorazione delle pareti e del soffitto.
Sono presenti tre quadri di scuola sudamericana, di cui uno è raffigurante una veduta fantastica del Tempio del Sole a Cuzco, con intorno piccola, ma preziosa collezione di miniature indiane su avorio. Gli altri due rappresentano una piazza di Lima nell’Equador e Benedetto Giuseppe Viti che attraversa le Ande con le sue casse d’alabastro, pietra che lo ha reso immensamente ricco. Presenti numerose porcellane e argenteria di fattura inglese.
Rispetto alle altre stanze questa si presenta molto più anonima, ma in seno ha alcuni dettagli da rimarcare. Il salotto prende nome per una evidente presenza di tredici quadri di battaglie di vari autori del Seicento e del Settecento.
Ai lati del camino due mobiletti portalegna toscani dell’Ottocento. Le grandi nature morte sono di un maestro piemontese del Settecento. Sopra il tavolo settecentesco nell’angolo, rarissimo monaco buddista in ambra rossa, resina fossile del ciliegio.
Accanto alla finestra importante ribalta settecentesca lombarda con sopra un ritratto di un notabile del Seicento. Le medaglie sono le onorificenze concesse da tutte le nazioni, al conte Giovanni Barbavara di Gravellona, primo direttore generale delle poste del Regno d’Italia e promotore dell’Unione Postale Universale. Il tavolino-vetrina contiene una collezione di avori, medaglioni di alabastro e pietre dure orientali.
Segue la piccola Saletta delle Porcellane. Qui si raccoglie una vasta collezione a muro di porcellane francesi e inglesi scelte dai servizi in uso nel palazzo; nelle credenze e mobili si stipano bicchieri e caraffe antiche in vetro e cristallo. Nel corridoio vetrina a muro con pregevole collezione di tazze da brodo per puerpera.
La parte più interessante di questa ala è pero la biblioteca. I due grandi ritratti raffigurano Caterina Picchena (accanto alla finestra) e la contessa Alessandra Mandelli che si trova a sinistra dell’entrata. Sopra le due porte ritratto di bambino di Lucia Bassani e ritratto di vecchia signora di Ettore de Maria entrambi di fine Ottocento.
Il soffitto, che è il più importante del palazzo, presenta nei quattro medaglioni i ritratti dei maggiori poeti italiani, Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso. Sul tavolo centrale eccezionale scrittoio da viaggio giapponese in lacca e madreperla. Sulla scrivania lampada con paralume in porcellana incisa (litofania) splendida e rarissima opera delle manifatture reali di Berlino.
Due stupendi cassettoni lombardi stile Luigi XVI, fabbricati da Giuseppe Maggiolini (il più famoso mobiliere del Settecento) con sopra due stipi d’ebano intarsiati in avorio del Seicento. Raro e pregevole trumeau in radica di noce con filettature in pero ebanizzato e rarissima angoliera, sicuramente della bottega del Maggiolini, entrambi mobili lombardi del Settecento.
Tre splendidi tavolini a mosaico d’alabastro indurito, colorati a bagno, opere uniche ed irripetibili della fabbrica Viti. Alle pareti ritratto dell’imperatore romano Galba della bottega del Tiziano e grande ritratto della contessa Leopoldina Lossetti Mandelli, di un pittore milanese dell'Ottocento, con ai lati due disegni: uno del Cavenaghi entro cornice del Cinquecento, l’altro è una sanguigna del pittore volterrano Daniele Ricciarelli, detto il Brachettone.
Alla sinistra del trumeau quattro piccoli dipinti su tavola di scuola fiamminga illustranti la moda europea e le acconciature femminili all’inizio del Seicento. Il quadro accanto alla finestra rappresenta San Paolo eremita di Salvator Rosa, ed è il bozzetto di una pala d’altare ora al museo di Brera a Milano.
L’arredamento di questa saletta è particolarmente interessante; a sinistra entrando secrétaire eseguito dalla fabbrica Viti con lastre composte da piccole scaglie di alabastro, pasta di legno e resine; rappresenta un tentativo, mai più sperimentato di lavorazione diversificata dell’alabastro. Più oltre una grande e originale cornice racchiude dei ricami stupendi effettuati da missioni francesi in India.
La vetrina di fronte contiene due abiti indiani da cerimonia di Benedetto Giuseppe Viti, da lui indossati alla morte di Lucknow dopo la sua nomina a Visir ed Emiro del Nepal. La stoffa è impreziosita da ricami e lustrini in oro e argento; le pietre preziose che adornano i due copricapi sono delle imitazioni. Tre splendidi tavoli in alabastro intarsiato, una collezione di ventagli di varie epoche ed un bellissimo quadro con i fiori di M. Rapous, pittore piemontese del Settecento, completano l’arredamento. Sopra il tavolo centrale tra i tre sono presenti un elefante porta profumi in giada, la scimitarra ed il pugnale dal manico di giada, appartenuti all’Emiro del Nepal.
È una delle più belle del palazzo; la ricca decorazione delle pareti fu eseguita con la tecnica ottocentesca del finto parato che consisteva nel sovrapporre quattro differenti cartoni traforati su ciascuno dei quali veniva dato un diverso colore a tempera.
Sulla parete di fronte alla finestra il grande quadro della Venere dormiente, è di Antonio Puccinelli con ai lati i due candelabri in alabastro di raffinata fattura; sono presenti quattro ritratti: a destra Andrea di Santa Cruz, presidente della Bolivia, e Giuseppe Viti, commerciante d’alabastro che fu nominato Emiro del Nepal e visir da un Rajah indiano; a sinistra Amerigo Viti e Niccolò Viti, rispettivamente fratello e padre dell’Emiro.
Ai lati della finestra due antichi pannelli in tessuto del Giappone illustranti la lavorazione del tè e della seta. Accanto alla finestra bella testa di vecchio di scuola veneta del Seicento. Il mobilio, è completamente dorato con il sistema detto «a foglia d’oro»; notevoli gli intagli del tavolo centrale con il piano di alabastro e delle due consolles.
Nessun cambiamento ha turbato l’armonia di questa splendida stanza dalla venuta di Vittorio Emanuele II; le cortine del letto e la tappezzeria sono ancora quelle originali. Il nuovo re dell'Italia unita da San Rossore si era regalmente mosso per assistere al rito di riconoscenza e di amore che Volterra celebrava in quel giorno in memoria dei suoi gloriosi caduti nella grande guerra. L’arredamento, tipico da una camera di rappresentanza, è composto da varie seggiole, due comodine, un armadio ed un letto a baldacchino stile Luigi Filippo; al centro della sala, ed ai lati tre bellissimi tavoli d’alabastro intarsiato, i più belli.
Accanto alla finestra il ritratto del re ricamato a piccolo punto e scena biblica sempre a ricamo. A sinistra del letto pregevole Madonna con Bambino di Lucia Anguissola di scuola lombarda del Cinquecento, ritratto di monsignore di A. Barchi e Dama in nero di Vittorio Corcos. Gli altri quadri raffigurano dame di varie famiglie imparentate con la famiglia Viti.
Meno importante come decorazione murale è però una delle più ricche per gli oggetti che contiene. Di fronte al letto coppia lombarda di cassettoni del Settecento, della bottega di Giuseppe Maggiolini; sopra grande ritratto di scuola del Tiziano raffigurante Carolina Lossetti-Mandelli.
Ai lati del grande letto, su cui è tradizione abbia dormito Amedeo di Savoia re di Spagna, due belle comodine toscane del Settecento, trasformabili in seggette. Sulla stessa parete del letto presente anche un importante reliquiario di vari santi, tra cui la Madonna detta della Penera, tempera su tavola di scuola pisana dei primi del Quattrocento, immagine molto venerata in Volterra.
A fianco della finestra originale, toilette dell'Ottocento con ancora il servito completo in vecchio Ginori. Sopra la toilette, ritratto di Cosimo III Granduca di Toscana da bambino e della sua governante: è uno dei capolavori di Giusto Susterman fiammingo fiorentino della metà del Seicento. Accanto alla finestra un bel quadro raffigurante la morte di San Francesco di Giovanni Martinelli e l'uniforme di cameriere segreto di cappa e spada del Papa appartenuta al marchese Matteucci Ramirez di Montalvo.
La costruzione di questo edificio fu iniziata negli ultimi anni del Cinquecento da Attilio Incontri, nobile volterrano e genero del segretario del Granduca «per comodità della propria famiglia et ornamento della città», come si leggeva inciso nella cornice del primo piano. Il disegno della facciata è ormai concordemente attribuito a Bartolomeo Ammannati, mentre per la progettazione degli interni è probabile che sia da ritenersi artefice lo stesso Attilio in quanto egli era un architetto dilettante.
Dal lato artistico la facciata del Palazzo Viti presenta un interesse notevole rappresentando, con pochi altri esempi, l’epoca di transizione fra il rinascimento e il barocco; anticipa infatti molti elementi del secondo con la ricchezza e la grandiosità dei bugnati senza però perdere la plastica armonia degli edifici rinascimentali. E’ infine un vanto della famiglia Viti aver mantenuto immutato, per oltre cento anni, le sale di rappresentanza del palazzo che forniscono ora un esempio raro dell’arredamento e dello stile ottocentesco.
Il palazzo che per tutti gli effetti è reputato abitazione da gran signore, sorse nell’attuale via Sarti, inglobando costruzioni precedenti le cui strutture sono ancora in parte visibili.
L’edificio attuale presenta un fronte sulla strada con uno sviluppo di circa quaranta metri e una profondità di quasi sedici metri, mentre il progetto originale prevedeva che il corpo principale fosse integrato da due ali posteriori fiancheggianti un grandioso cortile porticato. Il trasferimento di Attilio a Firenze avvenuto nel Seicento, interruppe la costruzione del palazzo che rimase limitato al solo corpo principale, un’ala e la facciata.
La costruzione dell’altra ala e del cortile vennero ripresi quarant'anni più tardi da Ferdinando e Ludovico Incontri, figli di Attilio su progetto di Alfonso Parigi. Il cortile non fu però mai portato a termine in quanto non vennero più costruiti i due loggiati delle ali restando compiuto solamente quello del principale i cui resti, ancora visibili, furono racchiusi nelle mura del Teatro Persio Flacco.
Agli inizi dell'Ottocento la famiglia Incontri vendette all’Accademia dei Riuniti il cortile e parte del piano terra del palazzo. l’Accademia costruì in brevissimo tempo, entro i limiti del cortile stesso, l’attuale Teatro Persio Flacco su progetto dell’architetto Luigi Campani. Purtroppo l’attuazione di tale edificio comportò la demolizione della unica parte di loggiato esistente. Benedetto Giuseppe Viti, commerciante e viaggiatore dell’alabastro, comprò il palazzo nella metà dell'Ottocento provvedendo ad un radicale restauro della facciata e adattando nella stessa l’attuale ingresso contrassegnato dal numero civico 41.
La decorazione degli interni venne completamente rifatta per la visita di Vittorio Emanuele II che dimorò nel palazzo per un paio di giorni ed anche l’arredamento fu rinnovato secondo i gusti e lo stile dell’epoca integrandolo con una collezione di oggetti d’alabastro provenienti dalla Fabbrica Viti, collezione che è praticamente unica nel suo genere.
Lo scalone di accesso è arricchito da notevoli sculture in legno, marmo, pietra arenaria e alabastro tutte effettuate dalla fabbrica Viti; di particolare rilievo sono i grandi vasi monoliti. Le pareti decorate a ‘finto marmo’ sono impreziosite da stemmi che appartengono a famiglie imparentate con i Viti.
All'ingresso, come in tutte le altre sale del palazzo, le pareti sono pitturate a mano mediante stampi di carta traforati attraverso i quali veniva impresso il colore della decorazione. La consolle d’epoca di metà Ottocento con il piano in marmo qui presente ha la base in alabastro e venne eseguita insieme ad altri oggetti per Massimiliano d’Asburgo imperatore del Messico. In seguito alla fucilazione di Massimiliano avvenuta a Quarentaro gli oggetti non vennero spediti ed il mancato pagamento dell’ordinazione causò il dissesto di varie ditte di alabastro dell’epoca. Sopra la consolle grande specchiera del Settecento in noce, dorata con ai lati diciannove antiche miniature indiane su avorio, carta e una su legno; nella parete di fronte due ritratti di donna di scuola lombarda dell’Ottocento.
Agli angoli i due famosi e monumentali candelabri dell’imperatore Massimiliano, tutti in alabastro, mirabilmente lavorati rappresentano una tappa storica dell’artigianato alabastrino. Anch’essi rimasero invenduti per via della sua morte. Vi furono impiegate quasi tutte le varietà della pietra usata a Volterra, quali lo scaglione, il bardiglio, l’agata e la pietra a marmo. All’interno dei bulbi erano sistemati dei lumi a petrolio. Gli altri candelabri e colonne in alabastro sono anche essi della fabbrica Viti e risalgono alla prima metà dell’Ottocento.
Alle pareti quattro consolle con piano di marmo con i divani tipici delle sale da ballo, al centro splendido tavolo a mosaico in alabastro indurito e colorato eseguito dalla fabbrica Viti nella prima metà dell’Ottocento. Il mosaico in alabastro era considerato forse superiore ai mosaici fiorentini in pietre dure per la perfezione degli intagli, la delicatezza e la gradazione dei colori. Questa è la sala più grande di tutto il palazzo.
Emiro del Nepal
La sala da ballo ha molti dettagli. I quadri entrando da sinistra a destra, rappresentano Benedetto Giuseppe Viti viaggiatore dell’alabastro, opera di Antonio Puccinelli con cornice in legno e mosaico d’alabastro. Questo personaggio che esportò l’alabastro in tutto il mondo, dalle Americhe all’Africa e in India divenne amico del raja di Lucknow che lo nominò Visir ed Emiro del Nepal.
Tutti gli oggetti cinesi ed indiani che si trovano nel palazzo furono portali da lui e parte delle sue lettere vennero pubblicate con un commento di Corrado Alvaro, sulla nuova Antologia pubblicata negli anni Trenta del secolo scorso. Più oltre, il ritratto di Francesco Amerigo Viti, anch’esso opera di Puccinelli in uniforme di capitano della Guardia Nazionale. Di fronte ritratto del generale Josè Antonio de Santa Cruz presidente dell’Equador eseguito da un pittore sudamericano, e infine il quadro di Niccolò Viti.
Il pavimento del salone, dall’originale disegno ha le tessere bianche in alabastro indurito; molto belli i tre lampadari in vetro di Murano.
La sala più intima, dove è possibile conoscere le fisionomie dei proprietari di questa dimora, è quella da pranzo. Alle pareti quadri di antenati della famiglia e splendida collezione di disegni cinesi del Settecento e dell'Ottocento su carta di riso. Nella nicchia busto di marmo di Vito Maria Viti opera di scultore volterrano. Il mobilio comprendente due consolles, due tavoli con il piano in alabastro indurito e grande tavolo di mogano di fattura inglese, risale alla metà del secolo scorso. Molto bella la decorazione delle pareti e del soffitto.
Sono presenti tre quadri di scuola sudamericana, di cui uno è raffigurante una veduta fantastica del Tempio del Sole a Cuzco, con intorno piccola, ma preziosa collezione di miniature indiane su avorio. Gli altri due rappresentano una piazza di Lima nell’Equador e Benedetto Giuseppe Viti che attraversa le Ande con le sue casse d’alabastro, pietra che lo ha reso immensamente ricco. Presenti numerose porcellane e argenteria di fattura inglese.
Rispetto alle altre stanze questa si presenta molto più anonima, ma in seno ha alcuni dettagli da rimarcare. Il salotto prende nome per una evidente presenza di tredici quadri di battaglie di vari autori del Seicento e del Settecento.
Ai lati del camino due mobiletti portalegna toscani dell’Ottocento. Le grandi nature morte sono di un maestro piemontese del Settecento. Sopra il tavolo settecentesco nell’angolo, rarissimo monaco buddista in ambra rossa, resina fossile del ciliegio.
Accanto alla finestra importante ribalta settecentesca lombarda con sopra un ritratto di un notabile del Seicento. Le medaglie sono le onorificenze concesse da tutte le nazioni, al conte Giovanni Barbavara di Gravellona, primo direttore generale delle poste del Regno d’Italia e promotore dell’Unione Postale Universale. Il tavolino-vetrina contiene una collezione di avori, medaglioni di alabastro e pietre dure orientali.
Segue la piccola Saletta delle Porcellane. Qui si raccoglie una vasta collezione a muro di porcellane francesi e inglesi scelte dai servizi in uso nel palazzo; nelle credenze e mobili si stipano bicchieri e caraffe antiche in vetro e cristallo. Nel corridoio vetrina a muro con pregevole collezione di tazze da brodo per puerpera.
La parte più interessante di questa ala è pero la biblioteca. I due grandi ritratti raffigurano Caterina Picchena (accanto alla finestra) e la contessa Alessandra Mandelli che si trova a sinistra dell’entrata. Sopra le due porte ritratto di bambino di Lucia Bassani e ritratto di vecchia signora di Ettore de Maria entrambi di fine Ottocento.
Il soffitto, che è il più importante del palazzo, presenta nei quattro medaglioni i ritratti dei maggiori poeti italiani, Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso. Sul tavolo centrale eccezionale scrittoio da viaggio giapponese in lacca e madreperla. Sulla scrivania lampada con paralume in porcellana incisa (litofania) splendida e rarissima opera delle manifatture reali di Berlino.
Due stupendi cassettoni lombardi stile Luigi XVI, fabbricati da Giuseppe Maggiolini (il più famoso mobiliere del Settecento) con sopra due stipi d’ebano intarsiati in avorio del Seicento. Raro e pregevole trumeau in radica di noce con filettature in pero ebanizzato e rarissima angoliera, sicuramente della bottega del Maggiolini, entrambi mobili lombardi del Settecento.
Tre splendidi tavolini a mosaico d’alabastro indurito, colorati a bagno, opere uniche ed irripetibili della fabbrica Viti. Alle pareti ritratto dell’imperatore romano Galba della bottega del Tiziano e grande ritratto della contessa Leopoldina Lossetti Mandelli, di un pittore milanese dell'Ottocento, con ai lati due disegni: uno del Cavenaghi entro cornice del Cinquecento, l’altro è una sanguigna del pittore volterrano Daniele Ricciarelli, detto il Brachettone.
Alla sinistra del trumeau quattro piccoli dipinti su tavola di scuola fiamminga illustranti la moda europea e le acconciature femminili all’inizio del Seicento. Il quadro accanto alla finestra rappresenta San Paolo eremita di Salvator Rosa, ed è il bozzetto di una pala d’altare ora al museo di Brera a Milano.
L’arredamento di questa saletta è particolarmente interessante; a sinistra entrando secrétaire eseguito dalla fabbrica Viti con lastre composte da piccole scaglie di alabastro, pasta di legno e resine; rappresenta un tentativo, mai più sperimentato di lavorazione diversificata dell’alabastro. Più oltre una grande e originale cornice racchiude dei ricami stupendi effettuati da missioni francesi in India.
La vetrina di fronte contiene due abiti indiani da cerimonia di Benedetto Giuseppe Viti, da lui indossati alla morte di Lucknow dopo la sua nomina a Visir ed Emiro del Nepal. La stoffa è impreziosita da ricami e lustrini in oro e argento; le pietre preziose che adornano i due copricapi sono delle imitazioni. Tre splendidi tavoli in alabastro intarsiato, una collezione di ventagli di varie epoche ed un bellissimo quadro con i fiori di M. Rapous, pittore piemontese del Settecento, completano l’arredamento. Sopra il tavolo centrale tra i tre sono presenti un elefante porta profumi in giada, la scimitarra ed il pugnale dal manico di giada, appartenuti all’Emiro del Nepal.
È una delle più belle del palazzo; la ricca decorazione delle pareti fu eseguita con la tecnica ottocentesca del finto parato che consisteva nel sovrapporre quattro differenti cartoni traforati su ciascuno dei quali veniva dato un diverso colore a tempera.
Sulla parete di fronte alla finestra il grande quadro della Venere dormiente, è di Antonio Puccinelli con ai lati i due candelabri in alabastro di raffinata fattura; sono presenti quattro ritratti: a destra Andrea di Santa Cruz, presidente della Bolivia, e Giuseppe Viti, commerciante d’alabastro che fu nominato Emiro del Nepal e visir da un Rajah indiano; a sinistra Amerigo Viti e Niccolò Viti, rispettivamente fratello e padre dell’Emiro.
Ai lati della finestra due antichi pannelli in tessuto del Giappone illustranti la lavorazione del tè e della seta. Accanto alla finestra bella testa di vecchio di scuola veneta del Seicento. Il mobilio, è completamente dorato con il sistema detto «a foglia d’oro»; notevoli gli intagli del tavolo centrale con il piano di alabastro e delle due consolles.
Nessun cambiamento ha turbato l’armonia di questa splendida stanza dalla venuta di Vittorio Emanuele II; le cortine del letto e la tappezzeria sono ancora quelle originali. Il nuovo re dell'Italia unita da San Rossore si era regalmente mosso per assistere al rito di riconoscenza e di amore che Volterra celebrava in quel giorno in memoria dei suoi gloriosi caduti nella grande guerra. L’arredamento, tipico da una camera di rappresentanza, è composto da varie seggiole, due comodine, un armadio ed un letto a baldacchino stile Luigi Filippo; al centro della sala, ed ai lati tre bellissimi tavoli d’alabastro intarsiato, i più belli.
Accanto alla finestra il ritratto del re ricamato a piccolo punto e scena biblica sempre a ricamo. A sinistra del letto pregevole Madonna con Bambino di Lucia Anguissola di scuola lombarda del Cinquecento, ritratto di monsignore di A. Barchi e Dama in nero di Vittorio Corcos. Gli altri quadri raffigurano dame di varie famiglie imparentate con la famiglia Viti.
Meno importante come decorazione murale è però una delle più ricche per gli oggetti che contiene. Di fronte al letto coppia lombarda di cassettoni del Settecento, della bottega di Giuseppe Maggiolini; sopra grande ritratto di scuola del Tiziano raffigurante Carolina Lossetti-Mandelli.
Ai lati del grande letto, su cui è tradizione abbia dormito Amedeo di Savoia re di Spagna, due belle comodine toscane del Settecento, trasformabili in seggette. Sulla stessa parete del letto presente anche un importante reliquiario di vari santi, tra cui la Madonna detta della Penera, tempera su tavola di scuola pisana dei primi del Quattrocento, immagine molto venerata in Volterra.
A fianco della finestra originale, toilette dell'Ottocento con ancora il servito completo in vecchio Ginori. Sopra la toilette, ritratto di Cosimo III Granduca di Toscana da bambino e della sua governante: è uno dei capolavori di Giusto Susterman fiammingo fiorentino della metà del Seicento. Accanto alla finestra un bel quadro raffigurante la morte di San Francesco di Giovanni Martinelli e l'uniforme di cameriere segreto di cappa e spada del Papa appartenuta al marchese Matteucci Ramirez di Montalvo.
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