La Chiesa di San Pietro Vecchio in Selci si dice sia stata fondata da Marchese Guiscardo, figlio di Unfredo, all'inizio del secondo millennio. Egli fu un generale e dopo aver guidato con successo i Lucchesi contro i Pisani, non volendo infierire ancor di più sugli sconfitti, si attirò il disprezzo dei suoi e fu destituito. Ritiratosi a Volterra si occupò di cose inerenti il divino culto, tra cui la costruzione di questa chiesa. La Basilica di San Pietro in Selci fu abbattuta nella seconda metà del Quattrocento, in occasione del Sacco di Volterra dalle bombarde dei Fiorentini, guidati dal Duca d'Urbino.
L'attuale chiesa di San Pietro in Selci, adiacente all'ex-convento di San Pietro è l'epigono della vecchia chiesa, poichè è probabile ricalchi il disegno della precedente distrutta; fu consacrata agli inizi del Cinquecento dal concittadino Contugi Geremia, vescovo di Assisi in sostituzione del vescovo di Volterra non presente in città, come testimonia l'iscrizione situata presso la porta che introduce al giardino delle monache.
Nella vecchia basilica erano custodite e venerate le reliquie preziosissime e care soprattutto perché donate da Papa Callisto II in segno di riconoscenza per gli onori ricevuti durante un suo viaggio a Volterra. Tra queste alcuni fusti della corona di spine di Gesù Cristo, un nodello del piede di San Pietro apostolo e parte di osso di San Paolo.
Quando la basilica fu rasa al suolo, le relique furono travolte dalle macerie e nessuno si preoccupò di recuperarle. Qualche anno dopo si narra che un povero campagnolo, frugando fra i ruderi della basilica, trovò due cassette di legno ben chiuse; la bramosia di vedere in che cosa consistesse la propria fortuna, lo indusse ad aprire subito le casse: all'istante rimase cieco.
Il campagnolo intese che Dio lo aveva punito per il suo azzardo, alchè fattosi guidare fino alla cattedrale, in ginocchio davanti all'altare maggiore restituì le due cassette e i sacerdoti, avendogli toccati gli occhi, gli donarono di nuovo la vista. Gli sconosciuti tesori erano appunto le preziose reliquie mandate a Volterra da Callisto II, di nuovo visibili tra i tesori della Diocesi di Volterra.
La facciata esterna, in stile barocco, bella per ornamenti architettonici e per le due statue in tufo di San Lino e San Giusto, è opera di Leonardo Ricciarelli. L'interno della Chiesa si presenta a croce latina ad una navata. L'altare maggiore, di antichissima costruzione, è ornato da stucchi e dorature, ma non presenta nessun pregio artistico. Segue l'altare in pietra di Santa Lucia e l'altare dedicato a San Iacopo. Nel transetto troviamo l'antico altare dei Santi Innocenti.
La chiesa di San Pietro in Selci fu prescelta da varie famiglie volterrane per trovarvi sepoltura. Fra queste, sono da ricordare i Tani, i Cailli, i Benni, i Barberi, i Giorgi, i Banni, i Ciacchi e i Pagnini.
Nel Settecento su richiesta delle monache benedettine dell'adiacente convento di San Pietro, la sacra congregazione concesse l'autorizzazione che la chiesa servisse anche per le suddette monache. Un secolo dopo, poiché la chiesa di Sant'Agostino, per la soppressione degli Agostiniani non esercitava più il culto, trasferì la Prioria di San Pietro in quella chiesa per evitare altre interferenze con le monache.
Il complesso che si estende sull'ultimo tratto di Via Don Minzoni e all'inizio di Via del Poggetto, adiacente sulla destra alla Chiesa di San Pietro in Selci, fu realizzato dall'architetto Mattia Damiani nei primi anni del Settecento. Si tratta dell'ex convento femminile di San Pietro, un edificio imponente che allarga le sue proprietà su un edificio recintato di oltre sessanta metri di lunghezza e su uno spazioso parco boschivo tergale confinante con l'estrema punta delle suggestive mura medievali del poggetto di Firenzuola.
Il complesso investiva e, in parte investe tutt'ora, per la sua posizione, un'area della città alquanto periferica, da sempre inedificata e occupata da orti che caratterizzavano il sito denominato Poggetto Firenzuola. Con il suo spazio aperto annesso, l'antico cenobio si trova dunque, tanto per la storia, quanto per la morfologia attuale dei luoghi, in una posizione di confine tra un contesto urbano e un ambito retrostante naturale.
La Chiesa di San Pietro Vecchio in Selci si dice sia stata fondata da Marchese Guiscardo, figlio di Unfredo, all'inizio del secondo millennio. Egli fu un generale e dopo aver guidato con successo i Lucchesi contro i Pisani, non volendo infierire ancor di più sugli sconfitti, si attirò il disprezzo dei suoi e fu destituito. Ritiratosi a Volterra si occupò di cose inerenti il divino culto, tra cui la costruzione di questa chiesa. La Basilica di San Pietro in Selci fu abbattuta nella seconda metà del Quattrocento, in occasione del Sacco di Volterra dalle bombarde dei Fiorentini, guidati dal Duca d'Urbino.
L'attuale chiesa di San Pietro in Selci, adiacente all'ex-convento di San Pietro è l'epigono della vecchia chiesa, poichè è probabile ricalchi il disegno della precedente distrutta; fu consacrata agli inizi del Cinquecento dal concittadino Contugi Geremia, vescovo di Assisi in sostituzione del vescovo di Volterra non presente in città, come testimonia l'iscrizione situata presso la porta che introduce al giardino delle monache.
Nella vecchia basilica erano custodite e venerate le reliquie preziosissime e care soprattutto perché donate da Papa Callisto II in segno di riconoscenza per gli onori ricevuti durante un suo viaggio a Volterra. Tra queste alcuni fusti della corona di spine di Gesù Cristo, un nodello del piede di San Pietro apostolo e parte di osso di San Paolo.
Quando la basilica fu rasa al suolo, le relique furono travolte dalle macerie e nessuno si preoccupò di recuperarle. Qualche anno dopo si narra che un povero campagnolo, frugando fra i ruderi della basilica, trovò due cassette di legno ben chiuse; la bramosia di vedere in che cosa consistesse la propria fortuna, lo indusse ad aprire subito le casse: all'istante rimase cieco.
Il campagnolo intese che Dio lo aveva punito per il suo azzardo, alchè fattosi guidare fino alla cattedrale, in ginocchio davanti all'altare maggiore restituì le due cassette e i sacerdoti, avendogli toccati gli occhi, gli donarono di nuovo la vista. Gli sconosciuti tesori erano appunto le preziose reliquie mandate a Volterra da Callisto II, di nuovo visibili tra i tesori della Diocesi di Volterra.
La facciata esterna, in stile barocco, bella per ornamenti architettonici e per le due statue in tufo di San Lino e San Giusto, è opera di Leonardo Ricciarelli. L'interno della Chiesa si presenta a croce latina ad una navata. L'altare maggiore, di antichissima costruzione, è ornato da stucchi e dorature, ma non presenta nessun pregio artistico. Segue l'altare in pietra di Santa Lucia e l'altare dedicato a San Iacopo. Nel transetto troviamo l'antico altare dei Santi Innocenti.
La chiesa di San Pietro in Selci fu prescelta da varie famiglie volterrane per trovarvi sepoltura. Fra queste, sono da ricordare i Tani, i Cailli, i Benni, i Barberi, i Giorgi, i Banni, i Ciacchi e i Pagnini.
Nel Settecento su richiesta delle monache benedettine dell'adiacente convento di San Pietro, la sacra congregazione concesse l'autorizzazione che la chiesa servisse anche per le suddette monache. Un secolo dopo, poiché la chiesa di Sant'Agostino, per la soppressione degli Agostiniani non esercitava più il culto, trasferì la Prioria di San Pietro in quella chiesa per evitare altre interferenze con le monache.
Il complesso che si estende sull'ultimo tratto di Via Don Minzoni e all'inizio di Via del Poggetto, adiacente sulla destra alla Chiesa di San Pietro in Selci, fu realizzato dall'architetto Mattia Damiani nei primi anni del Settecento. Si tratta dell'ex convento femminile di San Pietro, un edificio imponente che allarga le sue proprietà su un edificio recintato di oltre sessanta metri di lunghezza e su uno spazioso parco boschivo tergale confinante con l'estrema punta delle suggestive mura medievali del poggetto di Firenzuola.
Il complesso investiva e, in parte investe tutt'ora, per la sua posizione, un'area della città alquanto periferica, da sempre inedificata e occupata da orti che caratterizzavano il sito denominato Poggetto Firenzuola. Con il suo spazio aperto annesso, l'antico cenobio si trova dunque, tanto per la storia, quanto per la morfologia attuale dei luoghi, in una posizione di confine tra un contesto urbano e un ambito retrostante naturale.
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Settembre 19, 2024 18:40 local time