Gaggio Settecervelli

Il Cecina non sarà il Tevere o l’Arno sulle sponde dei quali sono nate Roma e Firenze, ma se vuoi capire fino in fondo certi personaggi di questa valle che questo fiume, nel suo percorso, ha nei millenni modellato, non puoi permetterti di non conoscere la sua storia. E’ un modo di essere che già scopri e per certi aspetti ritrovi, guardando la calma imperturbabile, ma sempre attenta e interrogativa, degli Etruschi scolpiti nell’alabastro che puoi ammirare al Museo Guarnacci: quei personaggi paciosi che ricordano la flemma di Budda se ne stanno mollemente distesi sulle urne contenenti le proprie ceneri, quasi in un rapporto confidenziale e sereno, nel passaggio ineluttabile dalla vita alla morte.

Queste storiche figure e scene relative di cui mi appresto a parlare riguardano il periodo di metà Novecento, preciso e ben definito, per noi che ne siamo gli abitatori alla foce, e mi riferisco “al mitico tempo di quando volavano i pennati”, di quando alla foce con le piene tremende e rabbiose del Cecina arrivavano, oltre ai pollai, qualche maiale esausto ed incazzato e qualche gabbione di conigli.


Nella Val di Cecina, come penso in tutte le zone rurali, l’arrivo della Lambretta determinò senza dubbio, uno sconvolgimento, sia nelle relazioni umane, che in certe abitudini. La Lambretta, infatti sostituì come mezzo di locomozione, il barroccino, il carro, il ciuco e la bicicletta.

Per quei tempi e per certi versi, la sua comparsa fu più rivoluzionaria dell’odierno cellulare. La Lambretta piombò alla fine degli anni Quaranta e inizio anni Cinquanta del Novecento. Da quello che mi risulta non ci furono morti, ma come si dice da noi, solo “tanti e tanti voli e musate per terra” con un nutrito fiorire di bernoccoli ed ammaccature. Il caso più eclatante, ricordato negli annali della nostra storia (racconti a veglia), fu quello del Gaggio di Querceto, chiamato anche “Settecervelli”. Già con il ciuco non era stato un gran bel rapporto e alla fine la povera bestia si rese conto che dei “sette cervelli”, il Gaggio non riusciva a farne funzionare decentemente neppure uno.

La sua dipartita coincise più o meno con l’arrivo della Lambretta, e al Gaggio si impose una scelta: “O un nuovo ciuco o la Lambretta”! Optò per il cosiddetto progresso: la Lambretta. Nuova fiammante a lui destinata, arrivò direttamente da Lambrate, un quartiere di Milano dove scorre un fiumiciattolo che dà il nome allo stesso quartiere e alla Lambretta: il Lambro appunto. Appena consegnata, “Settecervelli” la guardò e riguardò a lungo un po’ ammirato per la verniciatura brillante color caffellatte e le cromature luccicanti del manubrio e della pedivella per la messa in moto però anche un po’ sospettoso, quasi in soggezione. E aveva ragione: l’approccio si rivelò infatti “poco amichevole” perché questo diavolo di “ciuco meccanico” aveva il grosso difetto che dopo la messa in moto, e innestata la marcia, inesorabile e cocciuto partiva, non curandosi minimamente se eri salito o meno a cavalcioni, trascinando per terra l’allibito e furente Settecervelli: “Ti domo sì, vedrai che ti domo io”.

Ce ne vollero di zuccate, perché nell’ammaccata testa del Gaggio, uno dei sette cervelli arrivasse a capire che per governare, o meglio per domare il recalcitrante attrezzo di Lambrate, era preventivamente necessario cavalcarlo e, solo dopo, dare gas e staccare la frizione. Ma ci vollero tante e ripetute “musate” perché le allora ruvide e sterrate strade della Val di Cecina glielo facessero comprendere.

© Stefano Biagini, STEFANO BIAGINI
La nuova Lambretta che sostituì il ciuco di “Settecervelli” tra voli e musate, in “Il Tirreno”, a. 27 marzo 2019