Il Cecina non sarà il Tevere o l’Arno sulle sponde dei quali sono nate Roma e Firenze, ma se vuoi capire fino in fondo certi personaggi di questa valle che questo fiume, nel suo percorso, ha nei millenni modellato, non puoi permetterti di non conoscere la sua storia. E’ un modo di essere che già scopri e per certi aspetti ritrovi, guardando la calma imperturbabile, ma sempre attenta e interrogativa, degli Etruschi scolpiti nell’alabastro che puoi ammirare al Museo Guarnacci: quei personaggi paciosi che ricordano la flemma di Budda se ne stanno mollemente distesi sulle urne contenenti le proprie ceneri, quasi in un rapporto confidenziale e sereno, nel passaggio ineluttabile dalla vita alla morte.
Queste storiche figure e scene relative di cui mi appresto a parlare riguardano il periodo di metà Novecento, preciso e ben definito, per noi che ne siamo gli abitatori alla foce, e mi riferisco “al mitico tempo di quando volavano i pennati”, di quando alla foce con le piene tremende e rabbiose del Cecina arrivavano, oltre ai pollai, qualche maiale esausto ed incazzato e qualche gabbione di conigli.
Il Bogi, o meglio conosciuto come “il Moro” delle Giungaie, era uno che aveva una grande considerazione di se stesso, insieme anche ad una smisurata consapevolezza, come diceva lui, dei “su’ diritti”!
Così grande, che forse, esagerando un po’, il Berti, l’autista dell’Ente Maremma, una volta che con la campagnola lo fece volare giù da un argine, raccontava che: “Era sempre in volo e già richiedeva la lista dei danni subiti, per sé e per quelli alla sua scassatissima bicicletta!” Si trattava infatti, di una vecchia e rugginosa “Giotto Cinelli” senza “pomodoro”, ma in compenso, con dei freni davanti e dietro, che a volte riuscivano anche a… frenare! Ma non si trattava di una bicicletta vera e propria, era semplicemente un tutt’uno con il Moro. Con questa come raccontava spesso lui aveva fatto grandi imprese.
Memorabile fu quando entrando nel bar – appalto della Gabella, con gli occhi fuori dalle orbite e fissi sul suo orologio, strillava come uno spiritato: “Ragazzi, ragazzi un c’ho messo punto, un c’ho messo punto. Sono partito dalla Sassa alle 7 e sono arrivato alle 7! Punto c’ho messo!” Non gli passava neppure per la testa che gli si potesse essere fermato l’orologio, ma con quel “di quando il Moro partì dalla Sassa alle 7 e arrivò alla Gabella alle 7” è rimasto nella storia della Val di Cecina. E dal suo punto di vista non era, certo, un’impresa da poco!
Come dicevo prima, era uno che aveva un grande considerazione di se stesso. Aveva la sensazione di essere al centro dell’universo-mondo. Un’impressione che trovò conferma un giorno che andando a Pisa, per fare “l’interesso” come si diceva allora, si trovò costretto ad aprire l’enorme ombrello d’incerato verde per una pioggerellina uggiosa che lo accolse all’uscita dalla stazione. Da quel momento in poi fu un autentico tripudio di saluti: Bongiorno Sig. Bogi! Sig. Bogi bongiorno! E poi alcuni universitari si esibivano in saluti barocchi con deferenti inchini e manierosi svolazzamenti di immaginari cappelli piumati settecenteschi. E contento e raggiante come una Pasqua pensava: “E mi conoscono anche qui…” Dimenticandosi però di un piccolo ed insignificante particolare che nel suo enorme ombrello d’incerato verde troneggiava a caratteri cubitali: Bogi. E questa insignificante dimenticanza lo faceva però, essere contento come il Re Sole!