Armandino di Gosto

Il Cecina non sarà il Tevere o l’Arno sulle sponde dei quali sono nate Roma e Firenze, ma se vuoi capire fino in fondo certi personaggi di questa valle che questo fiume, nel suo percorso, ha nei millenni modellato, non puoi permetterti di non conoscere la sua storia. E’ un modo di essere che già scopri e per certi aspetti ritrovi, guardando la calma imperturbabile, ma sempre attenta e interrogativa, degli Etruschi scolpiti nell’alabastro che puoi ammirare al Museo Guarnacci: quei personaggi paciosi che ricordano la flemma di Budda se ne stanno mollemente distesi sulle urne contenenti le proprie ceneri, quasi in un rapporto confidenziale e sereno, nel passaggio ineluttabile dalla vita alla morte.

Queste storiche figure e scene relative di cui mi appresto a parlare riguardano il periodo di metà Novecento, preciso e ben definito, per noi che ne siamo gli abitatori alla foce, e mi riferisco “al mitico tempo di quando volavano i pennati”, di quando alla foce con le piene tremende e rabbiose del Cecina arrivavano, oltre ai pollai, qualche maiale esausto ed incazzato e qualche gabbione di conigli.


Armandino di Querceto non era certo uno scolaro modello e non credo neppure che avrebbe avuto in gran simpatia Carlo Magno, quando si dice che nel settimo secolo ebbe “l’infelice idea di inventare la scuola”. E la simpatia era così poca, che nell’ultimo conflitto, quando nel castello di Querceto Kesselring insediò, seppur per poco tempo, il comando supremo delle armate tedesche in Italia, il primo atto, raccontava sempre Armandino, fu la chiusura della scuola elementare!

E Armandino ebbe sicuramente più in simpatia il germanico feldmaresciallo, che l’illuminato imperatore franco. Sì, per lui la scuola, era né più e né meno che una prigione. Un impedimento che non gli consentiva di poter scorazzare libero per la macchia a tendere le tagliole e le penere, o per i campi a scaricare qualche ciliegio, o a tassellare qualche cocomeraia. Anche se questo aveva, inevitabilmente, come prezzo da pagare, un’inevitabile scarica di cintolate. Ma l’arrivo degli americani, sloggiò i “crucchi” da Querceto e la scuola riaprì i battenti e il bengodi giunse al termine. Dire, però, che Armandino non fosse un bimbetto vispo ed intelligente sarebbe una bugia; a lui piaceva semplicemente vivere allo stato brado!

Un suo tema, a piacere, è rimasto memorabile. Armandino cosa poteva scegliere se non la cacciata al cinghiale (o meglio al cignale) che senza ombre di dubbio era il suo piatto forte.

Tema: la cacciata nel “Macchion del Lupo”. Svolgimento (in bella calligrafia): Pepè, pepè, pepè… suona la corna di inizio cacciata, si sciolgono i cani e subito prendono di vento “il cignale al covo” ed incomincia la canea: bau, bau, bau, bau. Tre pagine intere di bau bau, sempre in perfetta calligrafia. Ogni tanto, però, intramezzati dagli incitamenti strillati degli scaccioni: Forza Fanfara! Forza Lampino… i soliti campioni della muta, finché la canea, si concludeva, con l’esito finale: Pum, pum coppiola del sottofattore Bellacchi, ma… “padella”! E concludeva laconico il suo lavoro con due pepè della corna: fine della cacciata. (…)

Si guadagnò comunque la licenza di quinta elementare. Nella vita poi dopo un’esperienza breve, per lui insopportabile, come operaio nelle acciaierie di Piombino, ritornò nei suoi boschi a Querceto, a fare il guardiacaccia. La sua vera vocazione. Un mestiere che aveva perfettamente imparato dal padre Gosto, anch’esso guardiacaccia e nell’organizzare le cacciate divenne un vero maestro. Armandino, severo, conciso e dalla battutaccia fulminante. Proverbiale è rimasta quella fatta a Gino Fabbro (il maniscalco di fattoria) un cacciatore storico che con la sua bella doppietta damascata, non so quanti cinghiali avesse abbattuto, quando fece secco Baffino, il campione in assoluto della muta. “Ma ho visto nero” si giustificava quasi piangendo e Armandino inesorabile: “Allora se passava Don Viviano (il prete di Querceto) cosa facevi: gli tiravi lo stesso!”

Da quel giorno il povero Gino appese al chiodo il suo artistico fucile.

© Stefano Biagini, STEFANO BIAGINI
Armandino di Querceto, il cinghiale, le poste e gli “scaccioni”, in “Il Tirreno”, a. 13 agosto 2018