La Gabella, la Ginina e l’outlet dell’Osvaldino

I punti di ritrovo per eccellenza in Val di Cecina erano il Bar Betti di Ponteginori, l’appalto di Memmo a Querceto, e non ultimo il circolo dell’Ente Maremma di Casino di Terra. Lì piovevano, oltre che dai comuni collinari buona parte dei “ragazzotti” della zona già attrezzati di biciclette e di lambrette, insieme ai coltivatori diretti e i mezzadri delle fattorie di Querceto, Miemo, Casaglia, Monterufoli e Buriano. Luoghi di incontro, insomma, un po’ di tutti gli abitanti, che di “riffe o di raffe”, finivano per far capo alla Salaiola: da Volterra a Cecina, anzi per l’esattezza, fino a Vada. L’antico percorso, praticamente immutato dal tempo degli Etruschi, che dalle balze, per un lungo tratto, scende insieme al Cecina, fino al mare.

Non ultimo fra questi, diremo oggi, punti di incontro e aggregazione, seppur non proprio sulla medesima direttrice viaria, era la Gabella, posta sulla strada che dipartendosi dal Casino di Terra, smette di far compagnia al Cecina per correre in compagnia con la Sterza, su su, fino a Canneto, Monteverdi, Sassetta… per finire poi, la sua corsa a Venturina. Proprio lì, alla Gabella dove s’incrociava con la strada tutta-curve per la Sassa, si ritrovavano, anzi posso dire: ci ritrovavamo noi tutti i ragazzotti per andare a fare acquisti a Monteverdi.

Monteverdi, da questo punto di vista, aveva davvero un certo fascino. Era un po’ come il Paese dei Balocchi di collodiana memoria e un po’ come un “outlet ante litteram” versione anni Sessanta del precedente secolo. Mi sto riferendo al famoso negozio di Osvaldino. Lì trovavi un po’ di tutto: dalle lenzuola, ad ogni genere di biancheria, pelletteria, tappezzeria, scarpe… fino ai prosciutti e alle salsicce di cinghiale! Mi ricordo ancora dei piagnistei di Maurino (detto Ficosecco) nell’atto di trattare un paio di scarponi, al prezzo, già quasi concordato all’esorbitante importo di ben 250 lire. Non contento insisteva: “Via Osvaldino, da bravo, levami ancora qualcosina!” E lui spazientito: “Oh cosa ti devo leva, bimbo, ancora? Le stringhe?”

Come dicevo: ci si ritrovava alla Gabella, dove in genere si arrivava con le biciclette, e poi da lì, si finiva per montare sulle lambrette dei più grandicelli, perché la “pettata” di Canneto era “dura indiavolata” da affrontare. Considerato poi, che le nostre biciclette erano in genere, così sgangherate che, era già manna, gli funzionassero i freni. Le moderne e superleggere biciclette di alluminio o di carbonio odierne, a quei tempi, erano un sogno: non ce l’avevano neppure Bartali e Coppi.

Prima di partire ci si riuniva tutti dalla Gina detta “Ginina” pur essendo un donnone, di un quintale e passa, (si sa, da noi i diminutivi, o sono affettuosi o ironici. In genere sono sempre l’uno e l’altro) dai modi spicci e di poche parole, che gestiva il bar, appalto e distributore carburanti. E’ rimasta proverbiale, la risposta che dette ad “un sangue blu” che andò una notte a bussarle alla porta. Il nobile uomo quella notte era rimasto in panne con la sua torpedo blu metallizzata extralusso, e non gli restò, quindi, che chiedere soccorso alla Ginina, sciorinando con baldanzosa sicumera tutta la filastrocca dei suoi nomi, cognomi e casato. Quasi fossero la formula magica per spalancare tutte le porte, anche del Paradiso! La Ginina però non gli fece finire la sua chilometrica presentazione, e decisa rispose: “No davvero, ber mi topino, siete un po’ troppi per i miei gusti e poi i miei omini ancora non sono rientrati”. Credo che quella notte, il nobiluomo dovette farsi una bella scarpinata, almeno che qualche plebeo motorizzato di passaggio, magari alla guida di un’ultrapopolare lambretta, non gli avesse concesso un autostop, anzi una moto stop!