Ughino del Mastridi

Il Cecina non sarà il Tevere o l’Arno sulle sponde dei quali sono nate Roma e Firenze, ma se vuoi capire fino in fondo certi personaggi di questa valle che questo fiume, nel suo percorso, ha nei millenni modellato, non puoi permetterti di non conoscere la sua storia. E’ un modo di essere che già scopri e per certi aspetti ritrovi, guardando la calma imperturbabile, ma sempre attenta e interrogativa, degli Etruschi scolpiti nell’alabastro che puoi ammirare al Museo Guarnacci: quei personaggi paciosi che ricordano la flemma di Budda se ne stanno mollemente distesi sulle urne contenenti le proprie ceneri, quasi in un rapporto confidenziale e sereno, nel passaggio ineluttabile dalla vita alla morte.

Queste storiche figure e scene relative di cui mi appresto a parlare riguardano il periodo di metà Novecento, preciso e ben definito, per noi che ne siamo gli abitatori alla foce, e mi riferisco “al mitico tempo di quando volavano i pennati”, di quando alla foce con le piene tremende e rabbiose del Cecina arrivavano, oltre ai pollai, qualche maiale esausto ed incazzato e qualche gabbione di conigli.


Ughino del Mastridi possedeva un po’ tutte le caratteristiche per essere considerato a pieno titolo un personaggio, per il semplice fatto che le comprendeva un po’ tutte: un po’ filosofo, un po’ mattacchione e soprattutto, con l’innata capacità di saper sorridere alla vita. Viveva, insomma, come se l’esistenza si riducesse a una lunga e interminabile barzelletta anche quando, come si diceva da noi, le umane e inevitabili traversie “ti picchiavano rabbiose nei garretti”. E per poter conciliare questo modo di essere e, al tempo stesso, poter mettere insieme “il desinare con la cena” (anche questa un’espressione nostrana) non trovò di meglio che fare il “merciante” o il trasportatore.

Che cosa commerciava o trasportava? Praticamente un po’ di tutto! Dalla frutta e verdura, al pollame, fino alla biancheria. A chi gli chiedeva: “Come va Mastridi?”. Lui dava sempre una risposta del tipo: “Un c’è male, bimbo, mi sono allargato, ora c’ho i debiti anche all’isola d’Elba!”.

Di mezzi di trasporto ne aveva avuti, ma mai uno a garbo. S’andava da una vecchia moto Guzzi, dove dietro legava un valigione pieno zeppo di ogni genere di mercanzia; in genere fazzoletti che a seconda delle richieste di mercato diventavano (o meglio li faceva diventare) di lino, di cotone se non, addirittura, di finissima seta cinese. E soprattutto era il lancio pubblicitario interessante: “Correte, correte donne, un fazzoletto 50 lire, tre 150”. Poi, come diceva lui, si buttò all’agricola e si attrezzò di uno scassatissimo autocarro. Credo un residuato bellico che ad ogni sgassata sputava fumo nero, fiamme e bulloni come una mitraglia. Ma anche per questo glorioso “mezzo di trasporto” arrivò il meritato riposo nel cimitero dei ferrivecchi. Dopo la fine definitiva e tombale del vecchio autocarro, decise di rimodernare il parco macchine e si fece un bell’Ape Piaggio, e alla gente che gli domandava (sempre provocatoriamente) come andasse, rispondeva: “Bene, sembra … pagato!”. E poi chiariva subito: “Sembra, però”.

Un fredda sera d’inverno un giovane vigile nuovo del servizio, che gli ingiungeva perentorio: “Bollo!”. Il Mastridi subito: “Beato te bimbo che bolli, io ho un freddo boia”. E fra una battuta e un’altra riusciva sempre a farla franca. Ai vigili e ai poliziotti non rimaneva che far finta di niente e una volta girato l’angolo abbandonarsi a una bella risata. E poi, onestamente, cosa potevi pretendere da uno che riusciva a ironizzare anche sul suo nome tanto che a chi gli chiedeva: “Scusi lei è il signor Mastridi?”. Lui, con un sorrisino tagliente e di traverso, rispondeva: “Se mi pesti”.

© Stefano Biagini, STEFANO BIAGINI
Ughino il filosofo mattacchione personaggio della Val di Cecina, in “Il Tirreno”, a. 12 dicembre 2018